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mercoledì 27 febbraio 2019

Leonarda Cianciulli: La saponificatrice di Correggio.


Leonarda Cianciulli: La Saponificatrice di Correggio.
Leonarda Cianciulli, nata a Montella il 14 aprile 1894 e morta a Pozzuoli, 15 ottobre 1970, è stata un'assassina seriale italiana. È passata alla storia come "la saponificatrice di Correggio" per aver ucciso tre donne e averle poi sciolte nella soda caustica, come nel processo per ottenere il sapone. Quasi tutto quello che si sa sulla Cianciulli è estratto dal suo memoriale, intitolato “Confessioni di un'anima amareggiata” sulla cui autenticità sono stati sollevati numerosi dubbi. Molti sostengono che sia in realtà opera degli avvocati che la difesero al processo e puntavano ad alleggerire la posizione dell'imputata, la quale aveva studiato solo fino alla terza elementare e dunque difficilmente poteva essere in grado di scrivere un memoriale di oltre 700 pagine.
Leonarda, ultima di sei figli, nasce a Montella, un piccolo paese dell'Irpinia, dall'unione di Mariano Cianciulli, allevatore di bestiame, con Serafina Marano, una vedova con altri due figli che l'aveva sposato in seconde nozze. Da bambina Leonarda soffrì d'epilessia; risulta però tutt'altro che veritiera la storia di un'infanzia infelice, sebbene lei stessa racconti:
«Cercai due volte di impiccarmi; una volta arrivarono in tempo a salvarmi e l'altra si spezzò la fune. La mamma mi fece capire che le dispiaceva di rivedermi viva. Una volta ingoiai due stecche del suo busto, sempre con l'intenzione di morire e mangiai dei cocci di vetro: non accadde nulla.»
In realtà i tentativi di suicidio si verificarono successivamente, nella primavera del 1941, quando fu condotta nelle carceri giudiziarie di Reggio Emilia.
Nel 1917, all'età di 23 anni, sposa Raffaele Pansardi, originario di Lauria, allora impiegato al catasto di Montella, in aperto contrasto con i familiari che avevano individuato per la sposa, com'era consuetudine all'epoca, un altro marito che le era anche cugino. La Cianciulli, nel suo memoriale, racconta di essere stata maledetta dalla madre alla vigilia delle nozze e d'aver perciò troncato ogni rapporto con lei: un fatto che avrebbe segnato profondamente la personalità della futura assassina. In altre fonti si legge inoltre che la supposta maledizione avrebbe condizionato la psiche di Leonarda e anche la prematura morte di 8 dei suoi 12 figli.
Secondo il memoriale della Cianciulli, sua madre aveva pronunciato contro di lei una maledizione in punto di morte che le augurava una vita piena di sofferenze. Come se ciò non bastasse, anni prima una zingara le aveva fatto una terribile profezia, la cui prima parte recitava:
«Ti mariterai, avrai figliolanza, ma tutti moriranno i figli tuoi.»
La predizione (sempre secondo il memoriale) fu veritiera: le sue prime 13 gravidanze finiscono con 3 aborti spontanei e 10 neonati morti nella culla. Solo dopo l'intervento di una "strega" locale, Leonarda riesce finalmente a portare a termine la prima e poi altre tre gravidanze. Questi quattro bambini diventano per Leonarda un bene da difendere a qualsiasi prezzo. Così si legge infatti nelle sue memorie:
«Non potevo sopportare la perdita di un altro figlio. Quasi ogni notte sognavo le piccole bare bianche, inghiottite una dopo l'altra dalla terra nera... per questo ho studiato magia, ho letto i libri che parlano di chiromanzia, astronomia, scongiuri, fatture, spiritismo: volevo apprendere tutto sui sortilegi per riuscire a neutralizzarli.»
La giovane coppia va a vivere dal 1921 al 1927 a Lauria, in provincia di Potenza, e successivamente a Lacedonia. Nel 1930 il terremoto del Vulture è la causa del trasferimento degli sposi a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, al terzo piano di una casa in corso Cavour 11. Già a Lauria, così come a Montella prima e a Lacedonia dopo, la giovane Leonarda Pansardi era nota ai compaesani come donna di facili costumi, disonorata, impulsiva, ribelle all'autorità maritale e dedita alla millanteria e alla truffa. Prova ne sono le precedenti condanne del 1912 (per furto, quando aveva solo 18 anni) e 1919 (minaccia a mano armata di pugnale) a Montella e del 1927 inflìttale nel paese lucano; qui la Cianciulli fu processata e condannata per truffa continuata a dieci mesi e quindici giorni di reclusione, scontati poi nelle carceri di Lauria e Lagonegro, e 350 lire di multa poiché aveva raggirato una contadina del posto dalla quale s'era fatta consegnare denari e oggetti di valore di diverse migliaia di lire; inutile fu il tentativo del suo avvocato difensore di farle riconoscere il beneficio del vizio parziale di mente. In Emilia, il marito continua a lavorare come impiegato all'Ufficio del Registro, col modesto stipendio di 850 lire al mese, a malapena sufficiente per mantenere decorosamente moglie e figli, e si dà al vino. La Cianciulli, a suo dire, si organizza per risollevare le sorti della famiglia: beneficiando anche dei risarcimenti devoluti alle vittime del sisma, ha avviato un piccolo ma fiorente commercio di abiti e mobili, oltre ad offrire "servizi" di chiromanzia e astrologia. Mentre a Lauria aveva avuto una cattiva nomea presso i compaesani, a Correggio Leonarda è giudicata al massimo una persona eccentrica, ma è benvoluta e stimata da tutti, considerata una persona affidabile, una madre esemplare e - siamo negli anni del Ventennio - una fervente fascista. Accoglie in casa sua molte persone che intrattiene con aneddoti e cui offre dolci che ama cucinare; in particolare riceve spesso tre donne, tutte sole e non più giovani, insoddisfatte della routine di paese e desiderose di rifarsi una vita altrove: approfittando di questo loro desiderio, Leonarda le attira nella sua trappola.
Abbandonata nel frattempo dal marito, nel 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale, l'unica figlia femmina frequenta ancora l'asilo delle suore; i due maschi più giovani sono l'uno militare di leva e l'altro studente ginnasiale, mentre il più grande, il più amato, nonostante sia iscritto a Lettere all'Università di Milano, corre il rischio di essere richiamato al fronte. Al solo pensiero di tale sorte per il figlio prediletto, Leonarda, secondo le sue parole, sarebbe caduta preda dello sconforto. Memore dell'intervento magico compiuto anni prima della strega, andato a buon fine, Leonarda trova ben presto la soluzione al suo problema: la magia, prendendo così la drastica decisione di compiere sacrifici umani in cambio della vita del figlio. Invero, ai giudici che in seguito la interrogarono, in aula, affermò che le era apparsa in sogno la Madonna e sarebbe stata lei a suggerirle questo "scambio".
Gli omicidi si svolgono dal 1939 al 1940, e nel 1941 si cominciano a diffondere le voci della scomparsa di tre donne. Tali pettegolezzi prendono corpo e non ricevendo più da tempo notizie della cognata scomparsa (la più nota delle tre, la Cacioppo, già famoso soprano d'opera), la signora Albertina Fanti denuncia ufficialmente le sparizioni al questore di Reggio Emilia, il quale incarica delle indagini il commissario Serrao. Subito i sospetti ricadono sulla Cianciulli, che aveva intrattenuto rapporti di amicizia con tutte e tre le donne. La Cianciulli respinge tali voci, minaccia di denunciare per ingiuria e assume toni di sfida nei confronti degli inquirenti, cosicché viene arrestata. La Cianciulli aveva avuto la premura di scegliere tre donne sole, senza prossimi congiunti e con cospicui risparmi in denaro, ma nessuno poteva credere che la moglie di un funzionario, alta 1,50 e di 50 chili, potesse macchiarsi di triplice omicidio. Il questore di Reggio Emilia, seguendo le tracce di un Buono del Tesoro appartenente alla Cacioppo presentato al Banco di San Prospero dal parroco Adelmo Frattini, convocò il prete che disse di aver ricevuto il buono da Abelardo Spinabelli, amico della Cianciulli. Lo stesso Spinabelli dichiarò di averlo ricevuto dalla Cianciulli per il saldo di un debito. S'inizia a sospettare il reato di associazione per delinquere per il coinvolgimento del prete, Spinabelli, la Cianciulli e il figlio Giuseppe Pansardi che più volte, sotto incarico della madre, aveva spedito delle lettere da Piacenza spacciandosi per la vittima che assicurava la sua salute e aveva fatto lavare degli abiti appartenuti alle vittime. Cadono però tali sospetti per l'estraneità ai fatti del prete e di Spinabelli e gli unici sospettati rimangono la Cianciulli e il figlio, che sconterà cinque anni di reclusione per poi essere rilasciato per insufficienza di prove (la madre si prodigò con tutte le sue forze per convincere i magistrati di essere l'unica colpevole).
La Cianciulli davanti al commissario Serrao si dimostra molto reticente e rivela i particolari un po' alla volta: dirà prima di aver ucciso la Cacioppo d'accordo con Spinarelli, distrutto il cadavere tramite saponificazione e aver gettato i resti nel canale di Correggio, poi confesserà solo dopo lunghi interrogatori di aver ucciso anche le altre due vittime. Davanti all'agente di Polizia Valli, che le domandò che fine avesse fatto fare alle tre donne, lei risponde:
«Ebbene me le ho mangiate le mie amiche, se vuole essere mangiato anche lei, son pronta a divorarlo [...], le scomparse me le avevo mangiate una in arrosto, una a stufato, una bollita.»
E nelle sue memorie aggiunse un inquietante:
«Se sapeste cosa c'era di verità in queste parole...»
Infine per i numerosi elementi che riconducevano alla Cianciulli, il rinomato contegno della Cacioppo (che invece la Cianciulli sosteneva fosse in cerca di un uomo) e i reperti d'ambiente (sangue e dentiera appartenenti alle vittime ritrovati nella casa della saponificatrice), si ritenne certa la colpevolezza della donna. La Cianciulli allora confessò d'aver ucciso le donne, distrutto i corpi facendoli bollire in un pentolone pieno di soda caustica portata a 300 gradi, creato saponette con l'allume di rocca e la pece greca, disperso i resti nel pozzo nero e conservato il sangue per farlo attecchire al forno e mischiato a latte e cioccolato per farci biscotti. Questi vennero dati da mangiare ai figli, che credeva così di salvare da una morte misteriosa: la Cianciulli si identificava infatti nella dea Teti, perché come Teti aveva voluto rendere i figli immortali bagnandoli nelle acque del fiume Stige, così anche lei voleva salvare dalla morte i figli col sangue delle sue vittime. La Cianciulli fu dichiarata colpevole, quindi, di triplice omicidio, distruzione di cadavere tramite saponificazione e furto aggravato, con la pena di 15.000 lire, trenta anni di reclusione e tre da scontare prima in un ospedale psichiatrico.
Ermelinda Faustina Setti, la più anziana delle sue vittime, è la prima a finire nel pentolone della Cianciulli, anche chiamata "Rabitti". Si tratta di una donna di settant'anni, semianalfabeta ma inguaribile romantica, che Leonarda attira con l'assicurazione di averle trovato un marito a Pola. Leonarda la convince inoltre a non parlare a nessuno della novità, per evitare invidie e maldicenze; il 17 dicembre 1939, il giorno della partenza, Faustina si reca a casa dell'amica, per farsi dare le ultime istruzioni e per farsi scrivere da Leonarda una lettera da spedire alle amiche appena giunta a Pola, nonché per firmare a Leonarda una delega per gestire i suoi beni. Ma il viaggio è destinato a non cominciare mai: Leonarda, infatti, uccide l'anziana donna a colpi di ascia, poi ne trascina il corpo in uno stanzino e lo seziona in nove parti, raccogliendo il sangue in un catino. Come ella stessa scriverà nel memoriale redatto in carcere:
«Gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi e che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io.»
La seconda vittima, un'insegnante d'asilo di nome Francesca Clementina Soavi, a cui Leonarda aveva promesso un lavoro al collegio femminile di Piacenza, cade nella trappola il 5 settembre 1940: per stornare i sospetti più a lungo possibile, Leonarda la convince a scrivere delle cartoline ai familiari per scusarsi dell'assenza e a spedirle da Correggio, per evitare di far conoscere la sua destinazione, almeno fino a quando non sarebbe stata sicura di aver ottenuto il posto. Il copione si ripete: dopo averla uccisa, Leonarda ruba i pochi soldi della vittima e, con il permesso che costei le aveva concesso prima di morire, si fa carico di vendere tutte le sue cose e si tiene la somma guadagnata. Il figlio Giuseppe va a Piacenza a spedire le lettere della vittima. Leonarda non può ancora saperlo, ma Francesca non ha mantenuto la promessa di tenere la bocca chiusa sul suo imminente trasferimento: una vicina di casa, infatti, è a conoscenza della sua destinazione, ma non si fa avanti e la vicenda viene dimenticata, anche perché la scomparsa di una sola donna si somma alle centinaia di morti che la guerra provocava ogni giorno.
La terza vittima è la cinquantanovenne Virginia Cacioppo (Reggio Emilia, 17 giugno 1881 – Correggio, 30 novembre 1940), un'ex soprano di buon successo (dopo aver studiato canto al Conservatorio di Milano ed esordito nella Carmen di Bizet nel luglio del 1904 al Teatro Valli di Reggio Emilia si costruì un cospicuo curriculum, ricevendo notorietà e recitando in opere di Verdi, Puccini e Mozart per lo più in Italia, in Libano e in Egitto anche al fianco di direttori d'orchestra importanti come Emilio Usiglio). Leonarda attira la sua curiosità offrendole un impiego a Firenze come segretaria di un misterioso impresario teatrale, e contemporaneamente la stuzzica ventilandole l'ipotesi di un possibile futuro ingaggio. Di nuovo, le avanza la preghiera di non dire niente a nessuno, ma ancora una volta la promessa viene infranta: Virginia, infatti, si confida con un'amica la mattina stessa della sua "partenza". Quindi, la poveretta scompare. Infatti, il 30 novembre 1940 anche la Cacioppo è finita nel pentolone di Leonarda Cianciulli che, in proposito, scriverà più tardi nel suo memoriale:
«Finì nel pentolone, come le altre due (…); ma la sua carne era grassa e bianca: quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i dolci furono migliori: quella donna era veramente dolce.»
Ascoltata una sua confessione integrale, il 12 giugno 1946 a Reggio Emilia si apre il processo, nel quale emerge un interessante punto di dibattito: mentre l'accusa sostiene, infatti, che Leonarda abbia agito per pura avidità per il denaro delle sue tre vittime, lei s'intestardisce a giustificare i suoi omicidi come un tributo di sangue dovuto alla memoria della madre morta, che le sarebbe comparsa in sogno minacciandola di prendersi le vite dei suoi figli, se in cambio non avesse versato sangue fresco e innocente. La leggenda narra che, durante il processo, Leonarda sarebbe stata portata (di nascosto) in obitorio dove, per provare di aver agito da sola, con l'aiuto di seghe e coltelli, sarebbe riuscita a smembrare un cadavere in solo dodici minuti.
La perizia del professor Filippo Saporito, docente all'università di Roma e direttore del manicomio criminale di Aversa, riesce a convincere la giuria solo della seminfermità mentale dell'imputata, seguendo le teorie di Cesare Lombroso, allora molto in voga (mentre Saporito propendeva per la totale infermità causata da una psicosi-isterica). Il 20 luglio 1946 la Cianciulli viene quindi ritenuta colpevole dei tre omicidi, del furto delle proprietà delle vittime e del vilipendio dei cadaveri, e perciò condannata al ricovero per almeno tre anni in un manicomio criminale e a trent'anni di reclusione. Gli anni della condanna erano stati ridotti a ventiquattro per la semi-infermità mentale, ma poi riportati a trenta per la continuità del reato; inoltre la giurisprudenza di allora negò anche la premeditazione perché la riteneva incompatibile con la semi-infermità. Di fatto, la Cianciulli entrerà in manicomio e non ne uscirà più. Muore dopo ventiquattro anni, il 15 ottobre 1970, nel manicomio di Pozzuoli, all'età di 77 anni, per apoplessia cerebrale. Sepolta nel cimitero di Pozzuoli in una tomba per poveri, al termine del periodo di sepoltura, nel 1975, nessuno ne reclamò il corpo e i resti finirono nell'ossario comune del cimitero della città. Una suora del carcere la ricorda in questo modo:
«Malgrado gli scarsi mezzi di cui disponevamo preparava dolci gustosissimi, che però nessuna detenuta mai si azzardava a mangiare. Credevano che contenessero qualche sostanza magica.»
Il martello, il seghetto, il coltello da cucina, le scuri, la mannaia e il treppiede, cioè gli strumenti di morte usati dalla Cianciulli per compiere i tre omicidi, sono conservati dal 1949 a Roma nel Museo Criminologico.

mercoledì 20 febbraio 2019

Erzsébet Báthory: la Contessa Sanguinaria


Erzsébet Báthory: la Contessa Sanguinaria
Erzsébet Báthory, soprannominata la Contessa Dracula o Contessa Sanguinaria, nata a Nyírbátor, 7 agosto 1560 e morta a Csejte, 21 agosto 1614 a 54 anni, è stata una serial killer ungherese. Lei e quattro suoi collaboratori furono accusati di aver torturato e ucciso centinaia di giovani donne. Le vittime oscillerebbero tra le 100 accertate e altre 300 di cui era fortemente sospettata all'epoca; secondo un diario trovato durante la perquisizione in casa sua, le vittime sarebbero 650, e ciò farebbe di lei la peggiore assassina seriale mai esistita; ma gli storici tengono per vera la stima delle 100/300 vittime e sono scettici circa la veridicità e/o esistenza di questo diario.
Erzsébet nacque nel 1560 a Nyírbátor, un villaggio nel nord-est dell'attuale Ungheria, ma venne allevata nella proprietà di famiglia di Ecsed in Transilvania (odierna Romania). La sua famiglia, i Báthory-Ecsed e i Báthory-Somlyó, faceva parte delle casate protestanti ungheresi. L'albero genealogico dei Báthory comprendeva vari eroi di guerra protettiva contro i turchi osmani, un cardinale e un re di Polonia. Nella sua famiglia, a causa della consanguineità (anche il padre aveva sposato una sua cugina), non mancavano malattie del sistema nervoso: molti suoi membri mostravano segni di epilessia, schizofrenia e altri disturbi mentali. Non stupisce infatti che fin da bambina ella dava segni di squilibrio passando repentinamente dalla quiete alla collera. All'età di circa sei anni, stando alla leggenda, fu testimone di un fatto che lasciò su di lei una traccia indelebile: un gruppo di zingari venne invitato nella sua casa per intrattenere la corte; uno di essi venne però condannato a morte per aver venduto i figli ai turchi. Le sue grida lamentose giunsero fino al castello, attirando l'attenzione di Erzsébet, la quale, all'alba, fuggì dal castello per vedere l'esecuzione della condanna: dei soldati tagliarono il ventre di un cavallo legato a terra, il condannato venne preso e infilato nel ventre, rimase fuori solo la testa, poi un soldato ricucì il ventre del cavallo con il condannato al suo interno. Nel 1571, all'età di 11 anni, fu promessa in sposa al conte Ferenc Nádasdy, di sette anni più grande di lei, e andò a vivere nel castello di Nádasdy di Sárvár nel Transdanubio, presso il confine austriaco. All'età di 13 anni, incontrò un suo cugino, il principe di Transilvania, il quale, sotto i suoi occhi, fece tagliare naso e orecchie a 54 persone sospettate di aver fomentato una ribellione dei contadini. L'8 maggio 1575, all'età di quindici anni, sposò il fidanzato, Ferenc Nádasdy, a Vranov nad Topľou (Varanno), presso Prešov, nell'attuale Slovacchia nord-orientale. Al matrimonio fu invitato persino il sovrano del Sacro Romano Impero Massimiliano II, il quale, tuttavia, causa la lontananza, non poté partecipare, ma inviò una delegazione con un costoso gioiello come regalo di nozze.
Il marito aveva studiato a Vienna, dove si era dimostrato un buon atleta; inoltre faceva all'epoca parte di un gruppo di spadaccini noto come il "Terribile Quintetto". Amava torturare i servi, senza però ucciderli: una delle sue torture preferite consisteva nel cospargere di miele una ragazza nuda e lasciarla legata vicino alle arnie di sua proprietà. Essendo Nádasdy quasi sempre lontano da casa per combattere i turchi, la responsabilità del castello di Sárvár era affidata ad Erzsébet. Erzsébet amava vestirsi da maschio ma nel contempo era ossessionata dalla sua bellezza femminile. Verso i 18-19 anni ebbe una figlia da una relazione illegittima e la affidò a un contadino. Nella leggenda popolare si dice che questa bambina sia la progenitrice di alcune delle famiglie più antiche della zona, quali i Mansfeld, i Riddler e gli Helbinger. Nei primi dieci anni di matrimonio non ebbe figli, ma nei nove anni seguenti partorì tre figlie e un figlio. Fu una madre molto protettiva e gestì bene la servitù del castello. Per passare il tempo quando il marito era lontano da casa, Erzsébet cominciò a far visite alla contessa Karla, sua zia, e si dice che partecipasse alle orge da lei organizzate. Conobbe nello stesso periodo Dorothea Szentes, un'esperta di magia nera che incoraggiò le sue tendenze sadiche. Dorothea, conosciuta come Dorka, e il suo servo Thorko le insegnarono i segreti e le pratiche della stregoneria di cui scriveva spesso al marito in lunghe lettere.
Erzsébet riteneva un affronto intollerabile la fuga di una serva e la punizione era quasi sempre la morte. Una sera, una ragazza di dodici anni, Dora, riuscì a fuggire dal castello con indosso solo una lunga camicia bianca. Venne presa poco dopo e condotta dalla contessa, la quale la costrinse ad entrare in una gabbia cilindrica troppo stretta per sedersi e troppo bassa per stare in piedi. La gabbia venne quindi sollevata da terra tramite delle carrucole e spinta contro dei paletti appuntiti. Il valletto nano al servizio di Erzsébet, Ficzkó, manovrò le corde in modo che la gabbia oscillasse: in questo modo, il corpo venne fatto a pezzi. In un'altra occasione, in pieno inverno, fece condurre nel cortile, sotto la sua finestra, delle ragazze denudate. Ordinò quindi di versare acqua su di loro. Le ragazze morirono per assideramento. Suo marito non era inferiore a lei in quanto a crudeltà: una volta ai due sposi venne il sospetto che una serva si fosse finta malata, le fecero così infilare tra le dita dei pezzi di carta impregnati d'olio ai quali fu poi dato fuoco; dopo questo fatto ben pochi osarono dichiararsi ammalati. I segni della sua pazzia si palesavano sulle sue serve, castigate sempre più duramente per i loro errori.
Sotto tortura, dei testimoni affermarono che un giorno, dopo aver percosso una domestica, alcune gocce di sangue di questa colarono sulla mano della contessa. La Báthory credette, in seguito, che in quel punto specifico della mano la sua pelle fosse ringiovanita. Chiese agli alchimisti delucidazioni. Costoro, pur di compiacerla, si erano inventati la leggenda che raccontava di una giovane vergine il cui sangue aveva avuto effetti analoghi sull'epidermide raggrinzita di un aristocratico. La Báthory finì con il convincersi che fare abluzioni nel sangue di giovani vergini (in particolare della sua stessa classe sociale), o berlo quando queste fossero state particolarmente avvenenti, le avrebbe garantito la giovinezza eterna.
Si stima che abbia cominciato ad uccidere nel periodo tra il 1585 ed il 1610. Il marito ed i parenti sapevano delle sue inclinazioni sadiche, ma non intervennero. Cominciò a torturare e ad uccidere barbaramente giovani contadine, e in seguito, anche le figlie della piccola nobiltà. Infatti, nel 1609 Erzsébet istituì, nel suo castello, un'accademia che aveva, come fine apparente, l'educazione di ragazze provenienti da famiglie agiate. Prese a tradimento, le sue vittime venivano spogliate, incatenate a capo in giù, quindi, seviziate. Le loro gole venivano recise e il sangue fluiva, pronto per essere raccolto e usato da Erzsébet. Si narra che la Contessa abbia fatto costruire da un orologiaio svizzero un marchingegno chiamato "Vergine di Ferro" (simile alla futura Vergine di Norimberga), la quale aveva la forma di una donna dai lunghissimi capelli biondo argenteo (probabilmente sul modello di qualche fanciulla uccisa da lei stessa) che arrivavano fino quasi ai piedi. Ogni qualvolta una ragazza le si avvicinava, la Vergine di Ferro alzava le braccia e stringendola in una morsa mortale la uccideva, trapassandola con dei coltellacci acuminati fuoriusciti dal petto.
Quando le denunce per le sparizioni delle giovani aristocratiche arrivarono alla Chiesa cattolica, l'imperatore Mattia II (che era molto meno ricco della contessa ungherese) intervenne ordinando un'indagine sulla nobildonna. Gli inviati dell'imperatore entrarono di nascosto nel castello e colsero sul fatto la Báthory mentre torturava alcune ragazze; trovarono anche in molte stanze e nelle prigioni diversi cadaveri straziati e donne ancora vive con parti del corpo amputate. Fu incriminata e murata viva in una stanza del suo stesso castello, con un foro per ricevere il cibo. Morì quattro anni più tardi, lasciandosi morire di fame in quella cella. Altre quattro persone, tra cui la fedelissima domestica Ilona Joó e l'amante László, un esponente della piccola nobiltà locale, furono condannati come suoi complici e torturati con le seguenti sentenze: Ficzkó venne decapitato e gettato nel fuoco, Ilona Joó ebbe le dita amputate e fu bruciata viva assieme a Dorka. Katalyna Beniezky, la meno cattiva del gruppo della contessa Báthory, ebbe una condanna più mite, perché ella si limitava a nascondere i cadaveri delle fanciulle uccise e a volte, finché erano ancora in vita, cercava di dar loro da mangiare a rischio della sua stessa vita.
Non è mai stato chiarito il numero esatto delle sue presunte vittime, ma dai suoi diari (presumibilmente falsificati) e dai suoi appunti emergono 650 nomi accuratamente trascritti. Se questi nomi fossero esattamente quelli di tutte le sue vittime, ciò farebbe di lei la più efferata e più grande assassina seriale della storia. Ma, come indicato sopra, gli storici hanno ridotto le vittime entro un numero compreso tra le 100 e le 300 circa. La sua storia sfuma nella leggenda ed è condita di tradizioni popolari. Secondo le calunnie Erzsébet Báthory è infatti diventata un personaggio di culto dell'immaginario vampiresco. La contessa divenne estremamente potente alla morte del marito Ferenc Nádasdy, avvenuta nel 1604. A seguito della sua scomparsa, divenne amministratrice dei beni del figlio di soli sei anni. La contessa acquistò ancora più potere quando nel 1607 il principe Gábor Báthory (Gabriele Báthory), suo nipote, venne eletto Principe di Transilvania. Tale elezione andò a scapito del potente conte György Thurzó (Giorgio Thurzó), che divenne pertanto nemico dei Báthory e della contessa in particolare.
È stato lontanamente ipotizzato (ma ciò non può essere accertato) che la congiura ai danni della contessa fosse organizzata dallo stesso Thurzó, divenuto Conte Palatino d'Ungheria nel 1609. Fu lui a ordinare, il 5 marzo 1610, l'inchiesta preliminare contro Erzsébet, sulla base di alcune denunce anonime. Ma sembra che le denunce non fossero arrivate a lui ma direttamente a Mattia II, sovrano d'Ungheria, il quale vide nel "processo Báthory" la possibilità di confiscare l'imponente patrimonio della contessa e ridimensionare in tal modo l'influenza politica della sua famiglia. Fu proprio Mattia a firmare il decreto di prigionia per la contessa, obbligandola alla fissa dimora in un luogo rinchiuso, per soddisfare le impellenti richieste delle famiglie nobili delle vittime uccise e dissanguate.

mercoledì 13 febbraio 2019

Nodo d'Amore

La leggenda del Nodo d'Amore
Sul finire del Trecento il signore di Milano Giangaleazzo Visconti si appostò con le sue truppe sulle sponde del fiume Mincio. Nell'accampamento approntato per la notte il buffone Gonnella raccontò ai soldati di una leggenda locale: di come il fiume fosse popolato di splendide ninfe che di notte uscivano per danzare, ma che una maledizione aveva condannato a trasformarsi in orride streghe.



Durante quella stessa notte le ninfe-streghe uscirono e iniziarono a ballare tra i soldati addormentati; il capitano delle guardie Malco, però, stava vegliando e alzatosi improvvisamente ne inseguì una; dimenandosi, la strega perse il mantello rivelandosi una bellissima ninfa, Silvia. I due si innamorarono e si giurarono eterno amore; prima di tornare nel fiume, la ninfa donò a Malco un fazzoletto dorato come pegno. La sera successiva durante dei festeggiamenti Malco riconobbe tra le danzatrici Silvia che per amor suo si era spinta tra gli uomini. Gli sguardi che i due si scambiarono ingelosirono però Isabella, nobile dama invaghita del capitano, che denunciò Silvia come strega. Le guardie intervennero per arrestarla, ma Malco permise alla ninfa di fuggire. Imprigionato, il capitano ricevette la notte stessa la visita di Isabella, che gli chiese perdono. In quel mentre comparve anche Silvia che propose all'amato l'unica via di fuga possibile: non sulla terra, ma nelle acque del fiume! I due si diressero al Mincio, inseguiti dalle guardie del Visconti: quando anche il signore di Milano giunse presso il fiume, vi trovò solamente il fazzoletto di seta dorata annodato dai due amanti per sigillare il loro amore.

mercoledì 6 febbraio 2019

Slenderman


Slenderman
Lo Slender Man (conosciuto anche come Slenderman o Slender, il cui nome vuol dire uomo esile) è un personaggio immaginario, protagonista di racconti dell'orrore (creepypasta) e videogiochi, nato come fenomeno di Internet. Ha ispirato anche opere di terze parti. È stato creato da Eric Knudsen (noto anche col nome d'arte di Victor Surge) nel 2009 per un concorso fotografico sul sito Something Awful, dove bisognava ritoccare delle foto aggiungendo dettagli macabri o entità misteriose. Nelle foto preparate da Knudsen, lo Slender Man appariva insieme a dei bambini in un parco giochi. Le immagini erano virate in seppia e corredate da una breve didascalia. Il personaggio impressionò la giuria e Knudsen vinse il concorso. Lo Slender Man riscosse un enorme successo e divenne protagonista di numerose creepypasta (storie dell'orrore create perlopiù su internet) e numerose opere fan art dedicate a esso, da creare un vero movimento fandom dedicato. In un'intervista pubblicata sul sito Know Your Meme, Knudsen ha dichiarato di essersi ispirato a leggende popolari come Uomo nero, alle opere di Howard Phillips Lovecraft, Zack Parsons, e Stephen King (in particolare, al romanzo La nebbia), e ai libri dello scrittore surrealista William Seward Burroughs II. La prima vera diffusione del personaggio avvenne su Youtube. Il canale “MarbleHornets" produsse una serie di video in stile finto documentario nei quali dei ragazzi, con l'ausilio di una telecamera amatoriale, riprendevano eventi misteriosi per un concorso scolastico. Durante le riprese, l'essere fu avvistato più volte e i ragazzi ne furono perseguitati. In questi video, l'entità viene chiamata The Operator (in italiano: L’operatore) e agisce insieme a due Proxy, soprannominati Masky e Hoody per via del fatto che indossano rispettivamente una maschera e un cappuccio, obbediscono ciecamente all'operatore e tengono nascosta la loro identità. La webserie riscosse un enorme successo e ne fu estratto un adattamento cinematografico. Lo Slender Man viene descritto come un uomo di carnagione bianca, di corporatura snella, alto circa 240 cm. Il suo volto risulta privo di occhi, naso, bocca e orecchie. Presenta due braccia lunghe fino alle ginocchia che terminano in grosse mani con dita provviste di artigli. Inoltre, dalla sua schiena fuoriescono tentacoli neri. Indossa uno smoking nero con una cravatta nera o rossa e alcune volte dal viso fuoriesce una bocca grande provvista di denti molto aguzzi e lingua nera arrotolata alla fine. La lingua viene usata per strozzare le prede. Lo Slender Man tenta abitualmente di rapire dei bambini di età compresa tra i 5 e i 15 anni (ho sedici anni sono salva!), ma non è raro che prenda di mira anche adolescenti e adulti (come non detto). Si trova spesso nelle foreste o in luoghi abbandonati e bui, ma sono stati segnalati avvistamenti anche in zone abitate. Una volta che ha scelto la sua preda, può seguirla fino in città o in casa o addirittura perseguitarlo in capo al mondo, rendendosi visibile soltanto a lei e alle persone che le stanno accanto. Di solito, le sue apparizioni avvengono gradualmente: all'inizio si limita ad apparire in lontananza o a lasciare indizi sulla sua presenza, ma col passare del tempo le sue apparizioni diventano sempre più frequenti e sempre più vicine alla preda. Le vittime dello Slender Man entrano in paranoia e cominciano ad avere addirittura allucinazioni e malesseri vari, tranne i bambini che a volte assumono un comportamento amichevole nei suoi confronti, facilitandogli così la cattura. Le prede adulte, una volta che vengono prese di mira da questa creatura, non possono liberarsi della sua presenza o sfuggirle. Questo porta spesso le vittime a scegliere il suicidio (considerato l’unico modo per non farsi catturare). I corpi delle vittime vengono trovati di rado, completamente deturpati. I cadaveri dei suicidi vengono di norma ritrovati intatti. Lo Slender Man possiede diversi poteri. Uno dei più conosciuti è la capacità di teletrasportarsi (o muoversi molto velocemente) da un luogo all'altro e di mimetizzarsi nell'ambiente circostante. È inoltre in grado di causare interferenze a tutti i componenti elettronici e apparecchiature elettroniche. Può provocare anche malesseri vari e sintomi come: vertigini, nausea, disorientamento, vomito, mal di testa, svenimento, perdita di memoria temporanea e sanguinamenti vari (quindi se avete questi sintomi fate attenzione). In forme più gravi: Insonnia, paranoia, aggressività, panico, ansia, allucinazioni, autolesionismo, disturbo dissociativo dell'identità, disturbo ossessivo-compulsivo di personalità. Questi sintomi vengono associate alla sindrome dello Slender Man Sickness (in italiano: Malattia dello Slender Man) che sono gli effetti delle sue interferenze. Slender Man possiede anche la capacita di trasformare le sue vittime in Proxy (che significa: intermediario), che usa per diversi scopi; succede che a volte certi Proxy non adempiano ai suoi ordini e vengano ripudiati o eliminati. Questi Proxy ribelli vengono chiamati Mutinoxy.

Curiosità:
*Non si sa che fine facciano le vittime. Una delle tante teorie è che Slenderman le porti in un'altra dimensione.
*In antiche stampe medievali viene mostrato uno scheletro con tante braccia; alcuni pensano che sia la prima testimonianza dell'esistenza di Slenderman.
*Nel gioco Minecraft, c'è un mob basato sullo Slenderman, sia per nome che per fisico: l'enderman è uno strano uomo molto alto, secco e con il corpo interamente nero con sfumature viola con l'abilità di teletrasportarsi; normalmente sarà innocuo ma, se guardato negli occhi, aprirà la bocca ed inizierà a perseguitare il giocatore.
*La diffusione della leggenda su internet è impressionante, così come il numero di fake, che supera di gran lunga gli avvistamenti reali.
*Slenderman è la Creepypasta più famosa, dopo quella di Smile.jpg; questo a testimoniare anche gli svariati videogiochi creati su di esso, come il videogioco a cui gioca PewDiePie, Slender.

mercoledì 30 gennaio 2019

Lilith


Lilith
Non occorre essere profondi conoscitori del cristianesimo, né essere religiosi, per sapere di cosa si sta parlando quando si fa menzione di Adamo ed Eva, il primo uomo e la prima donna creati da Dio per popolare il Paradiso Terrestre. Non è altrettanto noto, però, che Eva fosse in realtà la seconda, se non addirittura "l'altra", donna, in quanto preceduta da Lilith, madre di demoni. Lilith appare fin da subito come una figura tutt'altro che remissiva, che ben presto si rifiuta di soggiacere ad Adamo, affermando di essere stata creata uguale a lui, e per questo viene da lui respinta. L'Alfabeto di Ben-Sira riporta il diverbio nato tra i due in questi termini: «Ella disse "Non starò sotto di te", ed egli disse "E io non giacerò sotto di te, ma solo sopra. Per te è adatto stare solamente sotto, mentre io sono fatto per stare sopra".» Visto frustrato il suo femminismo ante-litteram, Lilith, infuriata, pronunciò il nome di Dio e abbandonò in volo il giardino dell'Eden, risparmiandosi in tal modo di essere cacciata e restando, contrariamente al suo abbandonato compagno, una creatura immortale, intatta nell'orgoglio ma sessualmente insoddisfatta. Quest'ultimo problema lo avrebbe risolto una volta giunta sulle sponde del Mar Rosso, dove trovò vari demoni più che disponibili ad aiutarla in tal senso. Con essi diede vita a innumerevoli Jinn, vivendo tutto sommato tranquilla fino al momento in cui Adamo chiese a Dio di riportarla indietro. Allo scopo, tre angeli, Senoy, Sansenoy e Semangelof, vennero dunque inviati a riprenderla. I tre la trovarono e la minacciarono di morte se non fosse tornata da Adamo, ma Lilith fece loro notare di essere immortale e non temere le loro minacce, e soprattutto di preferire la compagnia dei demoni a quella del primo maschilista della storia. Gli angeli la minacciarono dicendo che avrebbero ucciso i suoi figli al suo posto. Pur di salvarli la donna promise che non avrebbe toccato i discendenti di Adamo ed Eva se essi avessero invocato la protezione dei tre angeli stessi. Da qui sarebbe nata la tradizione di mettere al collo dei neonati un ciondolo con incisi i nomi dei tre, perché li proteggano fino al momento della circoncisione. Non è noto perché la protezione non sia più necessaria – o richiesta – in seguito. Fino a questo punto il ritratto di Lilith parrebbe essere quello di una donna orgogliosa e indipendente, ma disposta al sacrificio per salvare la sua prole e tutto sommato più innocente di Eva, non avendo violato come lei un esplicito divieto del suo creatore. Un po' poco per definirla un essere demoniaco no? A contribuire a questo suo aspetto è il fondersi di varie culture e resoconti che spaziano dalla mitologia sumero-accadica, in cui Lilith è il nome della "vergine nera" che prende dimora in un albero piantato dalla dea Inanna e viene poi messa in fuga dall'eroe Gilgamesh, a quella babilonese in cui Lilitu è il componente femminile di una potente triade demoniaca (gli altri sono Lilu, maschio, e Ardat-Lili, figlia dei due), definita "il demonio che l'uomo crea sul letto durante il sonno". Nella sua figura si riflettono anche quelle di altre creature demoniache, quali la greca e serpentina Lamia, letterale divoratrice di uomini, e la sua antesignana Lamassu, mezza donna e mezza vacca (non ridete per piacere della Donna/Vacca e non pensate male grazie). Da questo brodo primordiale, emerge la Lilith che sta al confine tra il giorno e la notte, tra l'umano e l'animale, tra il divino e il demoniaco, e che si erge a predatrice non solo (ma soprattutto) sessuale, assetata di mortali umori quali sangue e seme. Lilith è colei che rapisce i neonati, nonché la responsabile delle involontarie eiaculazioni notturne degli adolescenti, delle quali si servirebbe per dare alla luce (o forse alle tenebre) la sua immonda prole (altra spiegazione improbabile, come quella del fatto che le mestruazioni femminili fossero dovute a delle bambole vudù che qualcuno creava per farle soffrire, infatti in molti venivano uccisi per questo motivo, ma ve ne parlerò meglio con le streghe e la stregoneria). Nel tempo, ella è stata identificata come progenitrice di ogni genere di stirpi, da quella dei Jinn ai succubi e incubi per terminare con gli onnipresenti vampiri (dopo vi spiego anche per cosa è associata ai vampiri).

Il mito di Lilith è tutto fuorché univoco. Nel Sefer Emek ha-Melech (la valle del Re) diviene perfino citata quale il serpente dell'Eden che seduce Eva e a lei si congiunge carnalmente, per quanto improbabile possa apparire la cosa essendo pur sempre Lilith una donna (il testo fa esplicita menzione del seme che il serpente avrebbe immesso in Eva e lo dichiara causa delle mestruazioni femminili, altra cavolata se volete un mio parere). Altrove è una creatura che non ha rapporti diretti con Adamo ma viene creata prima di lui e, dopo la sua cacciata dal Paradiso, riceve il potere sui neonati che meritano di essere puniti per i peccati dei loro padri. Questi ultimi includono i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, in periodi in cui gli stessi sono proibiti, o con la propria moglie mentre è nuda. Lilith avrebbe il potere di uccidere in qualunque momento i bambini nati da tali atti impuri, per quanto in genere si limiti a mostrarsi a loro e giocarci, facendoli ridere e costringendo i genitori a usare una formula magica per scacciarla (e i padri a dover dare delle spiegazioni alle loro mogli sul perché ritengano che ci sia di mezzo Lilith, mi immagino già il discorso XD). Anche la sua "situazione familiare" è soggetta a numerose interpretazioni. La si vede secondo i casi far coppia col demone Asmodai o essere consorte del castrato re dei demoni Samael, che non può per ovvie ragioni soddisfarla e può dunque aver rapporti con lei solo con l'intercessione del Drago Cieco, a sua volta sterile (non commentate per piacere, non ho scritto io tutti questi miti). Lilith è una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica, che potrebbe averla appresa dai babilonesi assieme ad altri culti e miti (come il Diluvio universale) durante la prigionia di Babilonia. Nella religione mesopotamica Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazia, malattia e morte. Lilith compare nell'insieme di credenze dell'Ebraismo come un demone notturno, ovvero come una civetta che lancia il suo urlo nella versione della cosiddetta Bibbia di re Giacomo. La sua figura, delineata nel Medioevo, risale a miti e leggende antiche della Mesopotamia. Nell'immaginario popolare ebraico è temuta come demone notturno capace di portare danno ai bambini di sesso maschile e caratterizzata dagli aspetti negativi della femminilità: adulterio, stregoneria e lussuria. Alla fine dell'Ottocento, in parallelo alla crescente emancipazione femminile nel mondo occidentale, la figura di Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta all’uomo e, rivalutata nelle religioni neo-pagane, viene posta a fianco di simboli come quello della Grande Madre. Lilith abbandonò il Paradiso di propria iniziativa, prima della caduta dell'uomo e non avendo toccato l'Albero della Conoscenza non fu condannata alla mortalità. Geronimo di Cardia tradusse Lilith con lamia, un mostro che Orazio descrive come una strega che rapisce i bambini, affine alla bretone Morrigan, nella mitologia greca invece è descritta come una regina libica che si accoppiò con Zeus. Dopo che Zeus ebbe abbandonato Lamia, Era rubò i figli di Lamia, e Lamia si vendicò rapendo i figli di altre donne. Il Lilith viene particolarmente considerata nella cultura della Wicca. C’è una leggenda secondo cui Lilith fu la prima donna creata, la prima compagna data da Dio ad Adamo. Ma Dio la cacciò dal paradiso terrestre perché rifiutava di sottomettersi ad Adamo, anche in ambito sessuale, rifiutando che fosse sempre e solo lui a possederla. Una volta scacciata Lilith vagò sulla terra e generò con Satana (qui simbolo della ribellione) le passioni umane.

Per quanto sia indicata come una donna dalla bellezza sovrumana cui è impossibile resistere la sua descrizione presenta alcune particolarità:

1)    Ha artigli da rapace anziché piedi, chiaro simbolismo al suo legame con la luna; alle volte ha la coda da sirena

2)    Si manifesta solo di notte

3)    Ha lunghissimi capelli rossi, ricci

4)    Pelle blu

5)    Occhi di fuoco

6)    Ali, acquisite dopo aver pronunciato il nome segreto di Dio

7)    È immortale, avendo abbandonato l'Eden prima che Dio privasse l'umanità dell'immortalità





IL PRIMO VAMPIRO: Lilith

Sebbene parlerò meglio dei vampiri in un altro post, in cui parlerò solamente di loro, devo accennarli anche qui perché, secondo alcune credenze, il Lilith avrebbe a che fare con la creazione del primo vampiro.

I primi scritti in cui ritroviamo la figura del vampiro risalgono al 2000 a.C., ritrovati nelle terre dei babilonesi e degli assiri. Lì esisteva una gerarchia di spiriti – fantasmi, semi-demoni, demoni – che includeva creature tipo vampiri che tornavano dalla tomba per attaccare i vivi. Di questa specie erano gli UTUKKU, demoni invisibili ed incorporei, e anche gli EKIMMU, anime di persone scomparse che non trovavano pace nella morte. Una testimonianza del timore che i babilonesi nutrivano verso i vampiri viene da un sigillo cilindrico ritrovato proprio in quelle terre, su cui era disegnata proprio una donna vampiro. La raffigurazione rappresentava un uomo che stava dormendo su cui era seduta una donna nuda con il volto demoniaco. Al loro fianco, in piedi, una persona con in mano un paletto nell'atto di colpire il demonio. Quest'immagine doveva naturalmente far capire al vampiro cosa gli sarebbe successo se si avvicinava al padrone del sigillo. L'origine dei vampiri è quindi da retrodatare di millenni. Secondo alcune teorie il capostipite delle creature della notte fu niente meno che Giuda Iscariota, la cui corda alla quale si era impiccato si ruppe lasciando cadere il corpo a terra. Questo spiegherebbe l'odio ereditario dei vampiri per gli oggetti di carattere cristiano. Secondo altre tesi il primo vampiro fu Caino, il primo assassino, colui che venne punito dal signore a cibarsi per l'eternità di quel sangue che aveva versato uccidendo suo fratello Abele. Secondo il Libro di Nod, dopo aver ricevuto il dono oscuro, Caino ha edificato una città, Enoch, dal nome del suo figlio primogenito instaurando una sorta di monarchia vampirica che, col tempo, si espanse a macchia d'olio, costringendo Dio a mettere in atto il Diluvio Universale per eliminare la minaccia dei vampiri moltiplicatisi a vista d'occhio. Esiste tuttavia una controversia riguardo questa tesi, ovvero in quale modo Caino ricevette il dono oscuro da Lilith, la prima moglie di Adamo poi cacciata dall'Eden perché rifiutava di sottomettersi al marito durante l'atto sessuale.

''Tra le sue braccia, trovai conforto. Piansi finché sangue non scese dai miei occhi lei lo tolse con un bacio.''

''E così Lilith, Lilith dagli occhi splendenti, mi Risvegliò. Si tagliò con un coltello e versò il suo sangue per me in una ciotola. Bevvi. Era dolce. E poi caddi nell’Abisso. Caddi per sempre, cadendo nella Tenebra più profonda.''

Questi due passi del Libro di Nod sembrano descrivere alla perfezione quello che sembrerebbe essere un abbraccio, tecnica più conosciuta mediante il quale nasce un nuovo vampiro. Se questa interpretazione del libro è corretta, non fu Caino il primogenito dei vampiri, ma bensì Lilith, che per prima passò il dono al primogenito di Adamo. Ma la domanda a questo punto è, da chi Lilith ottenne tale dono? le tradizioni narrano di numerosi rapporti sessuali avuti da Lilith con demoni dopo la sua fuga dall'Eden, verrebbe quindi logico pensare o quanto meno supporre che il vampirismo sia frutto di poteri infernali.

mercoledì 23 gennaio 2019

Licantropi


Licantropi
Il lupo mannaro, detto anche uomo lupo o licantropo, è una delle creature della mitologia e del folclore poi divenute tipiche della letteratura dell'orrore e successivamente del cinema dell'orrore.
Secondo la leggenda, il lupo mannaro sarebbe un essere umano condannato da una maledizione (o già dalla nascita) a trasformarsi in una bestia feroce ad ogni plenilunio. La forma di cui si racconta più spesso è quella del lupo, ma in determinate culture prevalgono l'orso, il bue (Erchitu) o il gatto selvatico. Nelle tradizioni popolari il fatto che lo si possa uccidere solo con un'arma d'argento, oppure che il licantropo trasmetta la propria condizione ad un altro essere umano dopo averlo morso non sono presenti. Alcuni credevano che uccidendo il lupo prima della prima trasformazione la maledizione venisse infranta. È importante notare inoltre che lupo mannaro e licantropo non sempre sono sinonimi: infatti nelle leggende popolari il lupo mannaro è talvolta semplicemente un grosso lupo con abitudini antropofaghe, a cui può essere associata una natura mostruosa. Inoltre, nel caso del lupo mannaro come mutaforma, si può distinguere tra il lupo mannaro, che si trasforma contro la propria volontà, e il licantropo, che si può trasformare ogni volta che lo desidera e senza perdere la ragione (la componente umana). Nella letteratura medica, con il termine licantropia clinica è stata descritta una rara sindrome psichiatrica che avrebbe colpito le persone, facendo sì che assumessero atteggiamenti da lupo durante particolari condizioni (come le notti di luna piena).
Il lupo è un simbolo ambivalente: amato per gli stessi pregi che hanno fatto dei suoi discendenti l'animale domestico per eccellenza, invocato nei riti sciamanici come guida sul terreno di caccia, ammirato per la forza e l'astuzia, addomesticato per diventare un alleato, ma poi cacciato per impedirgli di predare le greggi e infine addirittura demonizzato durante il Medioevo. Il modo di considerare il lupo muta, in maniera piuttosto brusca e radicale, col passaggio dell'uomo dal nomadismo, basato sulla caccia, alla cultura stanziale ed agricola. Il cacciatore ha bisogno della forza dell'animale totemico e del predatore, che lo può portare a scovare e ad uccidere la preda, e il lupo è il predatore per eccellenza. Per i cacciatori nomadi delle steppe dell'Asia centrale era rappresentativo della tribù e suo protettore. L'agricoltore, invece, ha un rapporto radicalmente diverso con esso: il lupo diviene minaccia per le greggi ma, contemporaneamente, i suoi cuccioli, debitamente addestrati, possono divenire preziosi alleati contro i loro stessi simili.
Il mito di un essere umano che si trasforma in lupo o viceversa è antico e presente in molte culture. I miti che riguardano la figura del lupo hanno origine, con buona probabilità, nella prima età del bronzo, quando le migrazioni delle tribù nomadi indoarie le portarono in contatto con le popolazioni stanziali europee. Il substrato di religioni e miti "lunari" e femminili degli antichi europei si innestò nel complesso delle religioni "solari" e maschili dei nuovi arrivati, dando vita ai miti delle origini, in cui spesso il lupo è protagonista. La sovrapposizione tra i culti solari della caccia e quelli lunari della fertilità si riscontra nei miti che vedono il lupo come animale propiziatore della fecondazione. In Anatolia, fino ad epoca contemporanea, le donne sterili invocavano il lupo per avere figli. In Kamčatka, i contadini, nelle feste ottobrali, realizzavano con il fieno il simulacro di un lupo a cui recavano voti, perché le ragazze in età da marito si sposassero entro l'anno. Questo intimo legame, nel bene e nel male, tra l'uomo e i canidi ha fatto sì che tra tutti i mannari proprio quelli di stirpe lupina siano tra le specie con le origini documentabili più antiche.
Nell'Antico Egitto era presente una figura con caratteristiche sia umane che di canide, il dio Anubi. Questa divinità veniva raffigurato come uno sciacallo, il più delle volte accucciato ma, quando deve presiedere ai riti del trapasso, assume la forma di un uomo con la testa di sciacallo. Le sue raffigurazioni, sebbene compaiano già all'inizio della storia egizia, si fanno più frequenti a partire dal Medio Regno, quando si diffondono maggiormente le tombe ipogee riccamente decorate. È da specificare che in questo caso non si può parlare di mannarismo vero e proprio perché manca l'aspetto della trasformazione, volontaria o involontaria; semplicemente, le due forme del dio convivono nell'immaginario egizio. La convivenza contemporanea di due o più forme per le divinità è caratteristica della religione egizia.
Zeus è un appassionato mutaforma e più volte si serve della sua facoltà per sedurre donne mortali eludendo la sorveglianza di Hera. Nel suo repertorio di trasformazioni (che, in effetti, si può ritenere illimitato, essendo egli un dio), vi è anche quella in lupo. Proprio in questa forma, e col nome di Liceo era adorato in Argo. In questa città, e sotto forma di lupo, Zeus era comparso a causa del malcontento popolare nei confronti del re Gelanore e appoggiare l'eroe Danao, che al re fu sostituito.
Febo, insieme a sua sorella Artemide, viene partorito da Latona, trasformata in lupa. Inoltre, tra le facoltà attribuite al dio Febo-Apollo vi è quella di mutare forma; una delle sue trasformazioni è appunto in lupo. A Febo Lykos viene anche dedicato un boschetto nei pressi del suo tempio ad Atene, nel quale soleva tener lezione ai suoi discepoli Aristotele. Il lupo diviene quindi animale della sapienza.
Il mito di Licaone documenta, nelle sue varie versioni, il passaggio del lupo da creatura degna di venerazione a essere da temere. Nella versione originaria, Licaone, re dei Pelasgi, fonda sul monte la città di Licosura, la prima città di questo popolo. Nelle versioni successive Licaone diviene un feroce re dell'Arcadia. Un giorno dette ospitalità a un mendicante ma, per burlarsi di lui, lo sfamò con le carni d'uno schiavo ucciso (secondo altre versioni, la portata principale era uno dei suoi stessi figli). Il mendicante, che era in realtà Zeus travestito, si indignò per il gesto sacrilego, e dopo aver fulminato i suoi numerosi figli lo trasformò in lupo, costringendolo a vagare per i boschi in forma di bestia. L'economia nella zona dell'Arcadia in cui ha origine la seconda versione del mito è molto più legata all'allevamento di quanto non fossero Atene o Argo. Si riflette quindi, in questa visione del predatore, l'atteggiamento di diffidenza che poteva assumere una società pastorale; il lupo viene visto, qui, come negativo, essere trasformati in esso è una punizione, non più una qualità divina. Il "lupo cattivo" stesso, nemesi dell'eroe in duemila anni di favole, ha i suoi natali nella Grecia antica. La lupa Mormolice, demone femminile, diviene lo spauracchio dei bambini cattivi, che, secondo le madri greche, fa diventare zoppi.
La figura del lupo, in qualche modo antropomorfa, fa la sua comparsa indipendente anche in altre zone europee. Presso le tribù galliche è un carnivoro necrofago, e viene raffigurato seduto come un uomo nell'atto di divorare un morto. Presso gli etruschi è Ajta a incarnare in qualche modo le sembianze del mannaro; il dio etrusco degli inferi ama portare un elmo di pelle di lupo, che lo rende invisibile.
È difficile tuttavia stabilire quando si abbiano le prime leggende che parlino esplicitamente di licantropi.
Nella cultura romana, il lupo non è visto solo con sospetto, ma anche con ammirazione. È un simbolo di forza, e la sua pelle viene indossata da importanti figure all'interno dell'esercito. I vexillifer, sottufficiali incaricati di portare le insegne di ogni legione, indossavano infatti una pelle di lupo che copriva l'elmo e parte della corazza. Il licantropo veniva chiamato versipellis, in quanto si riteneva che la pelliccia del lupo rimanesse nascosta all'interno del corpo di un uomo, che poi si "rivoltava" assumendo le fattezze bestiali.
Il rapporto tra il lupo e i Romani antichi è positivo, come testimoniato anche da altre tradizioni: a parte la lupa nutrice di Romolo e Remo, il 15 febbraio si svolgeva la cerimonia dei Lupercali, in onore del dio Luperco (identificato dai Greci con il loro Pan). Luperco era il protettore delle greggi e il rito era stato ereditato dai Sabini. Essi identificavano sé stessi nel lupo, animale da cui pensavano avessero origine le loro caratteristiche originarie di guerrieri e cacciatori. Il termine "lupo mannaro" ha origine dal basso latino lupus hominarius, il cui significato etimologico è "lupo che si comporta come un uomo".
Nelle tradizioni del Nord Europa compaiono figure di guerrieri, uomini e donne, consacrati a Odino, i berserker, che nella furia della battaglia si diceva si trasformassero in orsi, mentre gli úlfheðnar si tramutassero in lupi.
Fenrir è il prototipo del lupo mannaro scandinavo. È uno dei tre mostruosi figli di Loki, il dio vichingo degli inganni. Fenrir non è un lupo mannaro vero e proprio, perché non può trasformarsi e si presenta sempre in forma di lupo; tuttavia, è grosso al punto di essere deforme, ferocissimo, scaltro e dotato di parola come un uomo, tutte caratteristiche che lo avvicinano fortemente alla stirpe dei mannari. Gli dei vichinghi, man mano che cresce, iniziano a temerlo. Cercano di imprigionarlo, ma la belva è troppo forte e riesce a liberarsi. Per bloccarlo definitivamente devono ricorrere all'inganno e alla magia (altra analogia con molti miti riguardanti licantropi): lo legano con un laccio fabbricato dai nani intrecciando barba di donna, rumore di passi di gatto, radici di un monte, respiro di pesce, tendini d'orso e sputo d'uccello.
Ha forma di lupo anche l'innaturale progenie di una vecchia gigantessa. Due dei suoi figli lupi, Skǫll e Hati, inseguono dall'alba dei tempi il sole e la luna (ed è per questo motivo, secondo il mito, che i due astri si muovono) e finiranno per divorarli nell'ultimo giorno del mondo.
I lupi mannari propriamente detti compaiono anche nell'epica vichinga, in particolare nella saga dei Volsunghi, in almeno due occasioni. Nel canto quinto, a trasformarsi in lupo è la madre di re Sigger, facendo uso delle sue arti magiche. La regina-lupa si diverte, nella leggenda, a infierire sui figli di Volsung, che erano stati fatti prigionieri in battaglia da suo figlio; dei dieci uomini, nove vengono uccisi. Sopravvive Sigmund, aiutato dalla gemella Signi, che è anche moglie di re Sigger. Questa gli unge il volto di miele e la notte il lupo mannaro si ingolosisce, sentendo l'odore, ma gli lecca il volto anziché sbranarlo. Prontamente Sigmund gli afferra la lingua con i denti e la belva se la strappa per liberarsi. Nel tentativo, si procura una ferita che la uccide e, contemporaneamente, spezza i ceppi di Sigmund, liberandolo. Il tema del lupo mannaro ricompare nel canto ottavo; qui Sigmund e il nipote Sinfjotli giungono, attraverso una foresta, a una casa dove dormono due uomini di nobile stirpe. Sopra di loro sono appese delle pelli di lupo, due principi stregati da un incantesimo: devono sempre mostrarsi in forma di lupo, e solo una volta ogni cinque giorni possono riprendere sembianze umane. Sigmund e il nipote, incuriositi dalle pelli, le rubano, facendo ricadere su di loro la maledizione. Assumono sia le sembianze che la natura di lupi, e iniziano a aggredire uomini. In particolare, Sinfjotli si dimostra aggressivo e furbo. Sigmund e Sinfjotli riescono poi a liberarsi dalla maledizione del lupo mannaro dando fuoco alle pelli.
Il mito del licantropo si ritrova nel nord Europa anche in altre zone, oltre alla Scandinavia. Compaiono nella tradizione dei popoli germanici e delle isole britanniche a fianco, di volta in volta, dell'orso mannaro o del gatto selvatico.
In Barbagia esiste la leggenda dell'Erchitu, un uomo che può trasformarsi, non in lupo, ma in un grosso bue bianco dalle grandi corna d'acciaio. Nella Francia centrale e meridionale il lupo mannaro è il loup garou. Nella Francia settentrionale, in particolare in Bretagna, è il bisclavert. In Germania e in Gran Bretagna esiste il werwulf o werewolf, la cui origine etimologica è la medesima: wer, dalla stessa radice del latino vir ("uomo") e wulf o wolf ("lupo"). Nell'Europa dell'Est compare una figura ambigua, a metà tra il lupo mannaro e un demone in grado di risucchiare la forza vitale (che, più tardi, si identificherà col vampiro). Il suo nome cambia a seconda della regione, ma l'origine del nome rimane sempre la stessa. È detto oboroten in Russia, wilkolak in Polonia, vulkolak in Bulgaria, varcolac' (la forma forse più nota), in Romania. In Oriente, si diceva che Gengis Khan fosse discendente del "grande lupo grigio".
Nelle pianure degli Stati Uniti, erano gli indiani Pawnee a ritenersi imparentati con i lupi. Usavano anche ricoprirsi delle pelli di questi animali per andare a caccia. Un simile comportamento può avere un valore esclusivamente simbolico (la volontà di impadronirsi delle doti del predatore) e non certo mimetico: le potenziali prede degli uomini sono anche, da altrettanto tempo se non di più, prede del lupo, e sono quindi molto ben allenate a distinguerne il manto. Inoltre poco dopo la scoperta delle Americhe i coloni sostenevano che la licantropia fosse una maledizione dei "pelle rossa" dovuta all'"incrocio" di sangue tra coloni e indiani dovuti a matrimoni misti o ad altre motivazioni come gli stupri compiuti meschinamente da coloni nei confronti degli indiani. Ed altri sostenevano fosse la punizione di Dio per aver accettato scambi con gli indiani. Mentre i nativi americani sostenevano che la licantropia fosse una malattia o maledizione portata dai coloni. Nel Sudamerica, in Argentina e Paraguay esiste la leggenda del Lobizon dove si narra che il settimo figlio maschio di un settimo figlio maschio nascerà uomo-lupo. Nel Suriname è presente la figura dell'Azeman, spirito malvagio femminile con caratteristiche sia del licantropo che del vampiro.
Dal Basso Medioevo in avanti, il rogo è una soluzione usata a profusione per sbarazzarsi dei sempre più numerosi mutaformi, che paiono moltiplicarsi, specialmente in Francia e Germania. Il fenomeno arriva a toccare dimensioni gigantesche negli anni successivi alla controriforma, sia nei Paesi cattolici che protestanti. Redigere una contabilità precisa di quanti siano finiti al rogo con l'accusa di mannarrismo, da sola o in congiunzione con quella di stregoneria, è molto difficile. Le fonti più prudenti parlano di circa ventimila processi e condanne di licantropi tra il 1300 e il 1600, ma alcuni si sbilanciano fino a suggerire un numero prossimo alle centomila vittime. La storia più famosa è quella di un certo Peter Stubbe, che forse era effettivamente un serial killer. Per secoli si è comunque in presenza di una sorta di isteria collettiva.
Questa sorta di isteria collettiva porta a episodi terribili e grotteschi insieme. A tal medico Pomponace, sempre secondo Plancy, venne portato un contadino affetto da licantropia; questi gridava ai suoi vicini di fuggire se non volevano essere divorati. Siccome lo sventurato non aveva affatto la forma di lupo, i villici avevano cominciato a scorticarlo per vedere se per caso non avesse il pelo sotto la pelle. Non avendone trovato traccia, lo avevano portato dal medico. Pomponace, con maggior buon senso, stabilì che si trattava di un ipocondriaco.
Tutte le storie e le leggende viene rappresentato in forma di lupo che può però assumere un'ampia gamma di aspetti e dimensioni, dal normale lupo, da cui si distingue solo per l'intelligenza e la ferocia, a una mostruosità grossa come una vacca e deforme, dalla forza spaventosa e dalla ferocia senza pari. Un possibile tratto distintivo sta nelle sue impronte: in alcune leggende, il lupo mannaro lascia a terra il segno di cinque unghie (i canidi normali lasciano solo quattro tacche. Il pollice si è atrofizzato e non tocca il terreno). Alcuni di questi uomini bestia conservano la possibilità di parlare e ragionare come normali esseri umani, altri la perdono completamente. Anche alla regola secondo cui non vengono mai rappresentati come ibridi ci sono delle eccezioni, sia pure rare e parziali. Infatti, a volte il lupo mannaro sembra poter procedere su due zampe, o conservare una certa prensilità degli arti anteriori, cosa che gli consente, all'occorrenza, di intrufolarsi nelle case scassinando le porte chiuse. Altro tratto distintivo è l'immenso gusto del licantropo per la carne fresca. Diventa imperativo, per la possibile vittima medievale, cercare di capire anche come si presenta il mannaro in forma umana, per individuarlo e guardarsene. Il compito non è facile, perché esistono quasi tanti segni indicatori quante sono le versioni della bestia. Bisogna guardarsi da chi ha sopracciglia troppo folte e unite al centro, oppure il volto ferino, i canini troppo affilati, pelo sia sul dorso che sul palmo delle mani. Il dito indice più lungo del medio è sicuro indizio di licantropia, così pure un insano appetito per la carne cruda. È opportuno anche sospettare di chi sia troppo in forze senza che lo si veda mai mangiare; quasi di sicuro è un lupo mannaro che uccide persone la notte e le divora di nascosto.
Personaggio a metà tra lo stregone e l'uomo-lupo è il francese meneur de loups o "pastore di lupi". È una sorta di incantatore che, pur non trasformandosi personalmente in lupo, è in grado di radunare e guidare un branco di queste bestie per i suoi scellerati fini. La capacità di comandare un branco di normali lupi è spesso riconosciuta anche al licantropo. Alla testa dei suoi "simili", poi, il lupo mannaro può dare l'assalto a paesi o, addirittura, a roccaforti, facendo strage degli abitanti e divorando gli armenti. Talvolta, questi branchi misti si presteranno anche a fare da cavalcatura alle streghe, e a portarle ai luoghi del sabba.
Nel Medioevo si completa l'opera di demonizzazione del lupo, che viene assimilato al suo "doppio" innaturale e visto come servo delle streghe.
Molti sono i modi per diventare licantropi. L'unico che non figura nella tradizione è il morso: chi viene morso da un lupo mannaro non diventa lupo mannaro esso stesso. Il morso come veicolo dell'infezione muta forma è una trovata narrativa relativamente moderna, dovuta, quasi certamente, a una contaminazione proveniente dalle storie sul vampirismo. Per tutto il Medioevo invece, per trasformarsi in lupi il modo più sicuro rimane ricorrere alla magia. Un ulteriore sistema per trasformarsi è bere "acqua licantropica", cioè raccolta nelle impronte lasciate da un uomo-lupo.
La volontarietà di queste trasformazioni fa sì che possano avvenire in ogni ora del giorno o della notte e in ogni momento. Questo significa che, secondo molte tradizioni, non basta guardarsi dalla luna piena per essere in salvo dai lupi mannari. L'involontarietà della trasformazione non si ricollega solo al fatto che si verifichi in particolari congiunzioni astrali, ma anche alle sue cause: è solitamente dovuta agli effetti di una maledizione o ad altro accidente. Infatti, anche il venir maledetti da una strega può portare alla licantropia. La maledizione può essere dovuta anche a incidenti o piante velenose. Tra le scarse difese contro questo essere forte e feroce la più efficace pare essere l'argento, ma va notato che nei miti originali questo metodo non viene usato. Questo metallo può uccidere tutte le creature sovrannaturali (anche i vampiri, sebbene alcune tradizioni prediligono il paletto di frassino). Bisogna perciò trafiggere il mannaro con una lama di argento o sparargli con una pallottola dello stesso materiale. La credenza si deve alle proprietà di disinfettante che fin dall'epoca greca erano associate a questo metallo. Un'alternativa che sembra funzionare bene, almeno con quelli che usano una pelle per trasformarsi, è la distruzione della pelle stessa. Opzionalmente, dopo aver ucciso l'uomo-lupo, si può procedere al taglio della testa prima del seppellimento. Questo eviterà che il mostro, dopo morto, si tramuti in vampiro (tradizione slava). La licantropia si fronteggia meglio sul fronte della cura e della dissuasione. Se uccidere un lupo mannaro è complicato, si può sempre riuscire a sfuggirgli o a guarirlo. Buona efficacia ha anche l'aconito (in inglese prende il nome di wolfsbane, "veleno dei lupi") che risulta particolarmente sgradito. La soluzione definitiva e radicale rimane il fuoco.



sabato 19 gennaio 2019

Vampiri


Vampiri

Il vampiro è un essere mitologico o folcloristico che sopravvive nutrendosi dell'essenza vitale (generalmente sotto forma di sangue) di altre creature, nonché una delle figure dominanti del genere horror.
Nonostante entità di tipo vampirico siano diffuse in numerose culture ed epoche il termine "vampiro" divenne popolare solo agli inizi del XVIII secolo, in seguito all'influenza delle superstizioni presenti nell'Europa dell'est e nei Balcani, dove le leggende sui vampiri erano molto diffuse, sebbene fosse noto anche con altri termini, come βρυκόλακας (vrykolakas) in Grecia e strigoi in Romania. La superstizione nei confronti dei vampiri crebbe a tal punto da far nascere una grave isteria collettiva che in alcuni casi portò a piantare paletti nei cadaveri e ad accusare alcune persone di vampirismo (in questo periodo in parecchi richiedevano di avere un paletto infilato nel cuore quando venivano seppelliti poiché si pensava che senza sarebbero ritornati come non-morti). I folcloristici vampiri dell'Europa dell'est presentavano una notevole varietà di rappresentazioni, dal simile agli umani al cadavere putrefatto (sempre meglio che ricoperti di glitter…). Fu il successo del romanzo Il vampiro di John Polidori (1819) ad instaurare la carismatica e sofisticata figura del vampiro. È però il romanzo Dracula, scritto nel 1897 da Bram Stoker, ad essere considerato la quintessenza del romanzo vampiresco e che fornì le basi per le opere moderne. Dracula trattò una mitologia costituita da lupi mannari e altri demoni dando voce «allo stato d'ansia di un'epoca» e «alla paura della società patriarcale vittoriana». Il successo di questo libro fece nascere un distintivo genere vampiresco che è ancora popolare nel XXI secolo, con un'impressionante collezione di libri, film, videogiochi e serie televisive, anche se in molte non è più la creatura dell’horror classico.
Il concetto di vampirismo esiste da millenni; in tutte le leggende di ogni civiltà passata e presente, i diversi tipi di vampiri vengono tutti accomunati da una caratteristica chiave, cioè quella di nutrirsi in qualsiasi diversa maniera dei loro simili. Nella maggior parte dei casi, i vampiri sono creature malvagie redivive, vittime suicide o streghe, ma possono anche essere cadaveri posseduti da spiriti malevoli o umani trasformati dopo essere stati morsi da altri vampiri. La credenza in tali leggende divenne così persuasiva da causare isteria di massa e pubbliche esecuzioni di persone credute vampiri.
È difficile dare un'unica definitiva descrizione del vampiro folcloristico, vi sono tuttavia alcuni elementi che sono comuni a molte delle leggende europee. I vampiri erano generalmente descritti come gonfi, con una carnagione scura, o sanguigna; queste caratteristiche erano spesso attribuite alla nutrizione a base di sangue. Il vampiro, nella sua tomba, tendeva a perdere sangue dalla bocca e dal naso mentre il suo occhio sinistro rimaneva spesso aperto. Veniva seppellito rivestito con un telo di lino, e i suoi denti, capelli e unghie continuavano a crescere dopo la morte. Le zanne (i canini superiori) invece, non facevano parte delle sue caratteristiche.
Le cause della vampirizzazione (la nascita o creazioni di un nuovo vampiro) erano molte e varie nel folclore originario. Secondo la tradizione slava e cinese, qualsiasi cadavere che veniva scavalcato da un animale, particolarmente un cane o un gatto, aveva la possibilità di diventare un non morto. Anche i cadaveri che non venivano trattati con acqua in ebollizione erano considerati a rischio. Nel folclore russo si diceva che i vampiri fossero un tempo streghe o persone che si erano ribellati contro la Chiesa quando erano ancora in vita.
Alcune pratiche popolari erano utilizzate per scongiurare il ritorno nel mondo dei vivi di un caro estinto in qualità di non morto. Era assai diffuso seppellire i morti a testa in giù e collocare oggetti terreni, come falci o falcetti, vicino alla tomba per soddisfare i demoni che tentavano di possedere il morto o per mitigare quest'ultimo e prevenire la sua risurrezione dalla tomba. Questo metodo assomiglia alla pratica greca di appoggiare un obolo sulla bocca del defunto per pagare il dazio e poter attraversare il fiume Stige nell'oltretomba.
Altri metodi usati frequentemente in Europa includevano la rottura dei tendini all'altezza del ginocchio o il posizionamento di semi di papavero, di miglio o di sabbia sul terreno sopra la tomba di un presunto vampiro; questa pratica intendeva lasciare i vampiri occupati tutta la notte a contare i granelli che cadevano all'interno della bara, e li associava quindi all’aritmomania, è un nevrosi ossessiva che consiste nell'impulso a numerare oggetti, a eseguire calcoli matematici, e simili. Secondo una leggenda cinese, se una creatura simile a un vampiro si trovasse davanti ad un sacco di riso, si metterebbe a contare tutti i chicchi; altre leggende simili, che riguardano streghe o altri esseri malvagi, sono presenti sia nel subcontinente indiano così come nell'America del Sud.
Erano utilizzati molti rituali per identificare un vampiro. Un metodo per trovare la tomba di un vampiro consisteva nel far cavalcare un ragazzo vergine su uno stallone vergine all'interno di un cimitero: il cavallo si sarebbe fermato sopra la tomba in questione, generalmente era necessario un cavallo nero, ad eccezione dell'Albania dove doveva essere bianco. Inoltre, l'apparizione di buchi sul terreno sopra una tomba era considerato segno di vampirismo, cadaveri creduti vampiri erano generalmente descritti come più sani del dovuto, gonfi ma con pochi o nessun segno di decomposizione. In alcuni casi, quando una tomba sospetta veniva aperta, i presenti descrivevano il cadavere con la faccia ricoperta del sangue di una sua vittima. La morte di bestiame, pecore, parenti o vicini di casa era la prova dell'attività di un vampiro nella zona. Alcuni vampiri folcloristici, inoltre, potevano testimoniare la propria presenza tramite attività simili a quelle dei poltergeist, come scagliando pietre sui tetti o muovendo piccoli oggetti e provocando incubi a chi dormiva.
Oggetti apotropaici in grado di scacciare entità redivive sono molto diffusi nel folclore sui vampiri. L'aglio è un classico esempio, ma si dice che anche la rosa selvatica, biancospino e principalmente la verbena siano dannosi nei confronti dei vampiri. In Europa, inoltre, si credeva che spargere semi di senape sul tetto di una casa li avrebbe tenuti lontani. Altri oggetti esorcizzanti potevano essere ad esempio crocifissi, rosari o acqua santa. Si dice che i vampiri non siano in grado di camminare su un terreno consacrato, come quelli di chiese e templi o attraversare acqua corrente (come quella dei fiumi). Anche gli specchi venivano usati per allontanare i vampiri, ad esempio posizionandone uno sulla porta d'ingresso (secondo alcune culture, i vampiri non possono riflettersi e talvolta non proiettano la propria ombra, forse per via della mancanza dell'anima). Altre leggende sostengono che un vampiro non possa entrare in un'abitazione se non invitato dal padrone di casa, ma una volta invitato possa entrarvi e uscirvi a piacimento. I vampiri folcloristici erano più attivi la notte, ma non erano considerati vulnerabili alla luce del sole.
Uno dei più conosciuti metodi per uccidere un vampiro è impalarlo, specialmente nella cultura slava: in Russia e negli stati Baltici si preferiva il legno di frassino; in Serbia quello di biancospino; e quello di quercia in Slesia. Potenziali vampiri venivano spesso impalati attraverso il cuore, ad eccezione di Russia e Germania, dove venivano impalati attraverso la bocca, e della Serbia, dove venivano impalati attraverso lo stomaco. Bucare la pelle del petto era un modo per "sgonfiare" i vampiri (ritenuti più "gonfi" degli umani); i cadaveri venivano talvolta seppelliti con oggetti pungenti, di modo che se il corpo si fosse trasformato in vampiro (e quindi gonfiato), gli oggetti lo avrebbero bucato e sgonfiato. La decapitazione era il metodo più usato in Germania e nelle aree slave dell'ovest, con la testa seppellita tra i piedi, dietro le natiche o lontano dal corpo, in modo che l'anima non si attardasse nella sua dipartita indugiando nel corpo terreno. Talvolta la testa, il corpo o i vestiti di un vampiro venivano inchiodati al terreno, per prevenirne la rinascita. I nomadi schiacciavano aghi di acciaio o di ferro nel cuore dei cadaveri e infilavano pezzi di ferro nella bocca, sugli occhi, nelle orecchie e tra le dita nel momento della sepoltura. A volte mettevano del biancospino in una calza del defunto o trafiggevano le sue gambe con un paletto di legno. Altre misure contro i vampiri includevano bagnare la tomba con acqua bollente o la completa incinerazione del corpo. Nei Balcani un vampiro poteva anche essere ucciso con un colpo di pistola o affogato, ripetendo la sua cerimonia funebre, spruzzando acqua santa sul suo corpo o con un esorcismo. In Romania poteva essere inserito dell'aglio in bocca, e fino al XIX secolo veniva presa la precauzione di sparare al corpo nella bara. In casi eccezionali, il cadavere veniva dismembrato e i pezzi bruciati, mischiati ad acqua e somministrati ai membri della famiglia come cura. Nella regione della Sassonia, in Germania, veniva messo un limone nella bocca dei sospetti vampiri.
Racconti di esseri soprannaturali che si nutrono di sangue o di carne fresca di esseri viventi fanno parte di quasi tutte le culture del mondo da diversi secoli. Oggi assoceremmo queste creature ai vampiri, ma nei tempi antichi il termine vampiro non esisteva; bere sangue e simili attività erano attribuite a demoni o spiriti; persino il Diavolo era considerato sinonimo di vampiro. Quasi tutte le culture associano il bere sangue con demoni o creature redivive, o in alcuni casi con divinità (secondo la mitologia egiziana, la dea Sekhmet beveva sangue). In India, ad esempio, alcuni racconti sui Baital, esseri simili ai ghoul che possono entrare in possesso dei corpi, sono stati raccolti nel libro Baital Pachisi; una racconto del libro Kathāsaritsāgara narra di come il Re Vikramāditya intraprenda una ricerca per trovarne uno particolarmente elusivo. Anche Pishacha, lo spirito di malfattori o di coloro che morirono pazzi, rispecchia alcune caratteristiche dei vampiri e all'antica dea indiana Kālī, con zanne e una ghirlanda di cadaveri o teschi, venne attribuito il nutrirsi di sangue. I Persiani furono una delle prime civiltà a tramandare racconti di demoni bevitori di sangue: sono stati portati alla luce dei cocci di porcellana su cui erano state raffigurate creature che tentano di bere il sangue degli uomini. L'antica Babilonia e l'Assiria possiedono racconti della figura mitica Lilitu, che nella demologia ebraica diede vita a Lilith (che sarebbe anche la prima “Eva” che rifiutando Abramo venne scacciata dal paradiso terreste e trasformata in un demone), un demone che si nutriva di sangue di bambino, e a sua figlia Lilu.
La mitologia greca e latina descrivono creature come le empuse, le lamie e le strigi. Col passare del tempo, le prime due divennero termini generali rispettivamente per indicare streghe e demoni. Empusa era la figlia della dea Ecate ed era descritta come una creatura demoniaca dai piedi di bronzo: si trasformava in una giovane donna e seduceva gli uomini per bere il loro sangue. Lamia banchettava sui letti dei bambini la notte, succhiando il loro sangue, così come faceva la figura mitologica Gello. Come Lamia, la Strige si cibava di bambini, ma anche di giovani uomini. Erano descritte come aventi il corpo di corvo o d'uccello in generale, e successivamente vennero identificate nella mitologica romana nella strige, un uccello notturno che si ciba di sangue e carne umana.
Una delle prime testimonianze di attività di vampiri risale al 1672, nella regione dell'Istria, al confine tra Austria e Repubblica Veneta (oggi Croazia). Cronache locali citano il vampiro Jure Grando del villaggio di Khring vicino Tinjan come la causa del panico tra i paesani. Grando, un ex bracciante, morì nel 1656, ma i paesani del posto dichiararono che fosse tornato dal mondo dei morti, che avesse iniziato a bere sangue umano e che importunasse sessualmente le donne del villaggio. Il capo del villaggio ordinò che gli si piantasse un paletto nel cuore, ma quando questo metodo non sembrò bastare, il corpo di Grando venne decapitato.
Durante il XVIII secolo, vi fu un impeto frenetico di avvistamenti di vampiri nell'Europa dell'est, con frequenti rituali (che comprendevano impalare o disseppellire un corpo) per individuare potenziali morti viventi, a cui partecipavano anche ufficiali del governo. Due casi famosi di vampirismo, i primi ad essere ufficialmente verbalizzati, furono quelli dei cadaveri dei serbi Peter Plogojowitz e Arnold Paole. Plogojowitz era morto all'età di 62 anni, ma si credeva fosse tornato nel mondo dei vivi e avesse chiesto al figlio del cibo. Il figlio si rifiutò di sfamarlo, e fu trovato morto il giorno seguente. Plogojowitz sarebbe poi tornato e avrebbe attaccato alcuni suoi vicini di casa che morirono per gravi perdite di sangue. Paole, invece, un ex soldato divenuto contadino che era stato attaccato da un vampiro anni prima, morì mentre era impegnato nella fienagione. Dopo la sua morte, delle persone morirono nei paraggi e si credette che Paole fosse tornato e avesse iniziato a cibarsi dei suoi vicini. Un'altra famosa leggenda serba riguarda un tale Sava Savanović, che viveva in un mulino e uccideva e beveva il sangue dei mugnai. I due incidenti furono ben documentati: ufficiali governativi esaminarono i cadaveri, fecero rapporto e pubblicarono libri in tutta Europa. L'isteria infuriò per una generazione, il problema fu aggravato dalle epidemie rurali di acclamati attacchi di vampiri, causati indubbiamente dalla superstizione presente nelle comunità dei villaggi, dove venivano disseppelliti cadaveri e trafitti con paletti di legno. La controversia cessò solamente quando l'Imperatrice Maria Teresa d'Austria mandò il suo medico personale, Gerard van Swieten, a investigare sulle acclamazioni di entità vampiresche. Egli concluse che i vampiri non esistevano e l'Imperatrice approvò una legge che proibiva l'apertura e la profanazione delle tombe e dei cadaveri, ponendo fine alla controversia. Nonostante ciò, i vampiri continuarono ad esistere nelle arti e in alcune superstizioni locali.
Varie regioni africane possiedono racconti folcloristici di esseri con caratteristiche simili a quelle dei vampiri: nell'Africa occidentale il popolo degli Ashanti narra dell'asanbosam, una creatura dai denti di ferro che abita sugli alberi, mentre il popolo Ewe narra dell'adze, che può prendere le sembianze di una lucciola e dà la caccia ai bambini. La regione orientale del Capo tramanda la leggenda dell'impundulu, che può prendere le sembianze di un grosso uccello con gli artigli e può evocare tuoni e lampi, mentre il popolo Betsileo del Madagascar narra la leggenda del ramanga, un bandito o vampiro vivente che beve e si ciba delle unghie dei ricchi. Il termine Loogaroo, che indica una creatura mitologica simile a un vampiro, probabilmente deriva dal francese loup-garou (che significa "licantropo") ed è molto comune nella cultura di Mauritius.
I racconti sui loogaroo sono diffusi anche nelle isole caraibiche e in Louisiana, negli Stati Uniti. Simili mostri femminili sono la Soucouyant di Trinidad, la Tunda e la Patasola del folclore colombiano, mentre i miti Mapuche narrano di Peuchen, un serpente succhiatore di sangue. Secondo alcune superstizioni sudamericane dell'aloe vera appesa sulla porta d'ingresso avrebbe la capacità di scacciare i vampiri. La mitologia azteca narra dei Cihuateteo, spiriti dal viso scheletrico di coloro che sono morte di parto, che rubano bambini e intraprendono relazioni sessuali con i vivi, portandoli alla pazzia.
Durante il tardo XVIII e XIX secolo le credenze sui vampiri si diffusero in parti del New England, specialmente nel Rhode Island e nel Connecticut orientale. Vi sono numerosi casi documentati di persone che dissotterravano i propri cari per rimuovere il loro cuore nella convinzione che il defunto fosse un vampiro e che fosse responsabile di morti e malattie in famiglia. In realtà non veniva mai usato il termine vampiro per indicare la malattia. Si credeva che la malattia mortale della tubercolosi, nota all'epoca come "consunzione", fosse causata dalle visite notturne da parte di un membro della famiglia morto anch'egli della stessa malattia.
Il più recente e documentato caso di sospetto vampirismo fu quello della diciannovenne Mercy Brown, che morì a Exeter, Rhode Island nel 1892. Suo padre, assistito dal medico di famiglia, la rimosse dalla tomba due mesi dopo la sua morte, le tagliò via il cuore e lo bruciò riducendolo in cenere.
Radicate in vecchi folclori, moderne credenze si sono diffuse in tutta l'Asia, dai ghoul della terraferma fino agli esseri vampireschi delle isole del Sudest asiatico. Anche in India sono nate nuove leggende sui vampiri. Il bhūta o prét è l'anima di un uomo morto prematuramente. Si muove di notte, animando cadaveri e attaccando i vivi, similmente a un ghoul. Nell'India del nord viene narrato di una creatura simile ai vampiri, il brahmarākŞhasa, caratterizzato dalla testa cinta di interiora e un teschio da cui beve sangue. Secondo la fede induista, queste creature sono reali. Il loro corpo è costituito da quattro dei cinque elementi: Aria, Materia Oscura (Spazio), Fuoco e Terra. L'assenza dell'acqua indica l'imperitura ricerca da parte del vampiro di soddisfare la sua sete con il sangue. I vampiri sono inoltre esseri demoniaci condannati a bere sangue umano, anatema compensato però da altri poteri oscuri. La forza e la durezza dei loro corpi è dovuta alla mancanza di liquidi. Nonostante i vampiri appaiano nel cinema giapponese sin dagli anni cinquanta, il folclore alla base ha origini occidentali. La creatura più simile al vampiro è forse il nukekubi, la cui testa e collo sono in grado di staccarsi dal corpo per volare via e andare a caccia di prede umane. Leggende di esseri femminili simili a vampiri esistono però nelle Filippine, in Malaysia e in Indonesia. Nelle Filippine, le due maggiori creature sono il mandurugo (letteralmente "succhia-sangue") del popolo dei Tagalog e il manananggal ("creatura che si divide in parti") dei Visayan. La prima è una variazione dell'aswang, che prende le sembianze di un'attraente ragazza di giorno, mentre di notte le crescono ali e una lunga lingua concava e fine. La lingua viene usata per succhiare sangue dalle proprie vittime addormentate. La seconda, invece, è descritta come una più matura ma comunque bellissima donna, capace di prendere il volo grazie ad enormi ali di pipistrello, che si nutre di donne incinte addormentate e inconsapevoli. Usa una lingua lunga quanto una proboscide per succhiare via i feti dai grembi materni. Talvolta si cibano di interiora (specialmente cuore e fegato) e del muco delle persone malate. Il malese penanggalan potrebbe essere una giovane o vecchia donna, in ogni caso attraente, che ha ottenuto la sua bellezza per mezzo della magia nera ed è spesso descritta nel folclore come un essere oscuro o demoniaco. È in grado di staccare dal corpo la sua testa zannuta e di farla volare nella notte in cerca di sangue, in genere di donne incinte. I malesi spesso attaccano jeruju (cardi) sulle porte e sulle finestre delle case, sperando di scacciare il penanggalan. Il leyak è un essere simile del folclore di Bali. Un kuntilanak o matianak in Indonesia, o un pontianak o langsuir in Malesia, è una donna morta di parto divenuta una non morta, che in cerca di vendetta terrorizza villaggi. Appare come una donna attraente con lunghi capelli neri che ricoprono un buco sulla base della nuca, col quale succhia il sangue dei bambini. Ricoprire il buco con i suoi capelli la farebbe scappare via. Alcuni cadaveri potrebbero inoltre avere perle di vetro infilate nella bocca, uova sotto ciascuna ascella, e aghi conficcati nei palmi delle mani per prevenire che si trasformino in langsuir. Gli jiang shi ("cadavere rigido"), chiamati anche "vampiri cinesi" dagli occidentali, sono cadaveri rianimati che uccidono i vivi per assorbire la loro linfa vitale (qì). Si dice che nascano quando un'anima non è in grado di vivere nel corpo del defunto. A differenza dei vampiri, gli jiang shi sono creature senza mente e non hanno ragionamenti propri.
Nella moderna finzione, il vampiro tende ad essere raffigurato come un personaggio malvagio dalla personalità suadente e carismatica. Nonostante il generale scetticismo nei confronti di queste entità, vengono occasionalmente riportati avvistamenti di vampiri. Naturalmente, le società cacciatrici di vampiri esistono ancora, ma sono tuttavia create solo per ragioni sociali. Dichiarazioni di attacchi da parte dei vampiri vennero formulate nel paese africano del Malawi tra il 2002 e il 2003, quando una folla tumultuosa lapidò a morte una persona e ne attaccò altre quattro, incluso il governatore Eric Chiwaya, che secondo le dicerie si era accordato con dei vampiri.
Nei primi anni settanta la stampa locale diffuse voci secondo le quali un vampiro aveva infestato il cimitero londinese di Highgate. Cacciatori di vampiri amatoriali si riunirono in gran numero nel cimitero. Nel gennaio 2005, circolò una diceria di un attacco avvenuto a Birmingham, in Inghilterra, seguito dall'ipotesi della presenza di un vampiro che circolava libero per le strade. In quel caso, come dichiarò la polizia, si trattò di una leggenda metropolitana.
Nel 2006, un professore di fisica alla University of Central Florida scrisse un saggio in cui spiegò che è matematicamente impossibile che esistano i vampiri basandosi sulla progressione geometrica. Secondo questo saggio, se il primo vampiro fosse apparso il 1º gennaio del 1600 e si fosse nutrito una volta al mese (cioè meno frequentemente di quanto avvenga nelle leggende folcloristiche) e tutte le sue vittime fossero divenute vampiri, allora in soli due anni e mezzo tutta la popolazione mondiale dell'epoca sarebbe stata vampirizzata.
Uno dei più famosi casi di entità vampiriche nell'età moderna è quello dei chupacabra di Porto Rico e del Messico. È leggenda che siano creature che si nutrono di carne fresca e di sangue di animali domestici. L'isteria per i chupacabra venne spesso associata a profonde crisi economiche e politiche, in particolare durante gli anni novanta.
In Europa, dove la maggior parte del folclore vampiresco ebbe origine, il vampiro viene considerato una creatura di fantasia, nonostante alcune comunità abbiano accettato l'idea di fantasma redivivo per scopi economici. In alcuni casi, specialmente in piccole comunità, la paura per i vampiri è ancora radicata e avvistamenti o rivendicazioni di attacchi di vampiri accadono frequentemente. In Romania, nel febbraio 2004, numerosi parenti di Toma Petre ebbero il timore che questi fosse divenuto un vampiro. Fecero quindi dissotterrare il corpo, gli bruciarono il cuore e mischiarono le ceneri ad acqua per poi berle.
Il vampirismo e lo stile gotico rappresentano una parte rilevante dei moderni movimenti dell'occulto. Il mito del vampiro, le sue qualità magiche, il fascino e l'archetipo del predatore esprimono un forte simbolismo che può essere utilizzato nei rituali e negli atti di magia e può perfino essere adottato come sistema spirituale. Il vampiro è stato parte della società paranormale europea per secoli e da decenni ormai si è allo stesso modo inserito anche nella sub-cultura americana, mischiandosi all'estetica neogotica.
Paul Barber nel suo libro Vampires, Burial and Death illustra come la credenza nei vampiri tragga origine dal tentativo delle società pre-industriali di spiegare il naturale processo di decomposizione di un corpo dopo la morte.
Spesso le persone ritenevano che un cadavere si fosse trasformato in vampiro, quando non aveva un aspetto che loro ritenevano congruo con lo stato di morte. La decomposizione dipende dalla temperatura, dalla composizione chimica del terreno, dal tipo di sepoltura e da altri fattori, allora poco conosciuti. All'epoca i cacciatori di vampiri sospettavano di vampirismo un corpo che presentava i segni della decomposizione e ciò nasceva, sempre secondo Barber, dall'erronea conclusione che quest'ultima attività, appunto perché tale, indicava una sorta di vita post-mortem.
I cadaveri si gonfiavano di gas accumulati nel tronco e la pressione forzava il sangue ad uscire dal naso e dalla bocca, per questo motivo il corpo sembrava gonfio, ben nutrito e dalla carnagione sanguigna, caratteristiche che potevano spaventare, soprattutto se il defunto in vita era stato magro e pallido. Nel caso di Arnold Paole, il cadavere riesumato di una donna sembrò ai paesani più sano di quanto la donna lo fosse stata in vita, il trasudare sangue venne interpretato come prova di attività vampiresca. Anche il divenire scuro della pelle è causato dalla decomposizione, ma all'epoca veniva interpretato come uno dei numerosi indizi di vampirismo. Il rigonfiamento del cadavere in decomposizione poteva causare la sfuggita di gas dal corpo: se questo fosse passato attraverso le corde vocali avrebbe potuto produrre suoni simili a gemiti. Dopo la morte, la pelle e le gengive perdevano liquidi e si contraevano, esponendo alla vista le radici di capelli, unghie e denti. Questo fenomeno fece credere che i capelli, le unghie e i denti stessero continuando a crescere dopo la morte. Tutto ciò contribuiva a confermare una ricca attività post-mortem e rendeva sospetta la vera natura del cadavere dissotterrato.
È anche stato ipotizzato che le leggende sui vampiri fossero influenzate da singoli individui sepolti vivi a causa delle mancate conoscenze mediche dell'epoca. In alcuni casi in cui delle persone avevano sentito dei rumori provenire dall'interno di una tomba, si erano poi scoperti, scoperchiandola, segni di unghiate sulla bara, da cui la vittima aveva tentato di fuggire. In altri casi la persona sepolta viva aveva battuto la testa contro la bara, sanguinando dal naso e dalla bocca; il sangue fece credere a chi aveva dissotterrato la bara che il cadavere si fosse "nutrito". Altre volte i rumori erano causati, come già spiegato, dalla fuoriuscita di gas durante la decomposizione. Un'altra causa di tomba trovata incomposta erano inoltre le frequenti profanazioni.
Il vampirismo folcloristico è stato associato alle morti per misteriose o non identificabili malattie, spesso presenti in una particolare famiglia o comunità. L'allusione all'epidemia è palese nei casi di Peter Plogojowitz e Arnold Paole, e ancor di più nel caso di Mercy Brown e nelle credenze sui vampiri del New England in generale, dove una specifica malattia, la tubercolosi, era associata agli attacchi dei vampiri. Così come la forma polmonare della peste bubbonica, questa malattia causava danni ai polmoni e faceva uscire sangue dalla bocca.
La malattia della rabbia è stata collegata al folclore vampiresco. Il dottor Juan Gómez-Alonso, un neurologo all'Ospedale Xeral a Vigo, in Spagna, scrisse di questa possibilità nella rivista scientifica Neurology. La suscettibilità all'aglio e alla luce potrebbero essere dovute a una ipersensibilità, che è sintomo della rabbia. La malattia può inoltre attaccare parti del cervello e causare disturbi del sonno (schemi del dì e della notte ribaltati) e ipersessualità. Secondo una diceria, se il paziente riusciva a riflettersi nello specchio, allora non era malato di rabbia. Lupi e pipistrelli, che sono spesso associati ai vampiri, possono essere entrambi portatori di rabbia. Questa malattia, inoltre, può portare a mordere altre persone e a perdere sangue dalla bocca.