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mercoledì 23 gennaio 2019

Licantropi


Licantropi
Il lupo mannaro, detto anche uomo lupo o licantropo, è una delle creature della mitologia e del folclore poi divenute tipiche della letteratura dell'orrore e successivamente del cinema dell'orrore.
Secondo la leggenda, il lupo mannaro sarebbe un essere umano condannato da una maledizione (o già dalla nascita) a trasformarsi in una bestia feroce ad ogni plenilunio. La forma di cui si racconta più spesso è quella del lupo, ma in determinate culture prevalgono l'orso, il bue (Erchitu) o il gatto selvatico. Nelle tradizioni popolari il fatto che lo si possa uccidere solo con un'arma d'argento, oppure che il licantropo trasmetta la propria condizione ad un altro essere umano dopo averlo morso non sono presenti. Alcuni credevano che uccidendo il lupo prima della prima trasformazione la maledizione venisse infranta. È importante notare inoltre che lupo mannaro e licantropo non sempre sono sinonimi: infatti nelle leggende popolari il lupo mannaro è talvolta semplicemente un grosso lupo con abitudini antropofaghe, a cui può essere associata una natura mostruosa. Inoltre, nel caso del lupo mannaro come mutaforma, si può distinguere tra il lupo mannaro, che si trasforma contro la propria volontà, e il licantropo, che si può trasformare ogni volta che lo desidera e senza perdere la ragione (la componente umana). Nella letteratura medica, con il termine licantropia clinica è stata descritta una rara sindrome psichiatrica che avrebbe colpito le persone, facendo sì che assumessero atteggiamenti da lupo durante particolari condizioni (come le notti di luna piena).
Il lupo è un simbolo ambivalente: amato per gli stessi pregi che hanno fatto dei suoi discendenti l'animale domestico per eccellenza, invocato nei riti sciamanici come guida sul terreno di caccia, ammirato per la forza e l'astuzia, addomesticato per diventare un alleato, ma poi cacciato per impedirgli di predare le greggi e infine addirittura demonizzato durante il Medioevo. Il modo di considerare il lupo muta, in maniera piuttosto brusca e radicale, col passaggio dell'uomo dal nomadismo, basato sulla caccia, alla cultura stanziale ed agricola. Il cacciatore ha bisogno della forza dell'animale totemico e del predatore, che lo può portare a scovare e ad uccidere la preda, e il lupo è il predatore per eccellenza. Per i cacciatori nomadi delle steppe dell'Asia centrale era rappresentativo della tribù e suo protettore. L'agricoltore, invece, ha un rapporto radicalmente diverso con esso: il lupo diviene minaccia per le greggi ma, contemporaneamente, i suoi cuccioli, debitamente addestrati, possono divenire preziosi alleati contro i loro stessi simili.
Il mito di un essere umano che si trasforma in lupo o viceversa è antico e presente in molte culture. I miti che riguardano la figura del lupo hanno origine, con buona probabilità, nella prima età del bronzo, quando le migrazioni delle tribù nomadi indoarie le portarono in contatto con le popolazioni stanziali europee. Il substrato di religioni e miti "lunari" e femminili degli antichi europei si innestò nel complesso delle religioni "solari" e maschili dei nuovi arrivati, dando vita ai miti delle origini, in cui spesso il lupo è protagonista. La sovrapposizione tra i culti solari della caccia e quelli lunari della fertilità si riscontra nei miti che vedono il lupo come animale propiziatore della fecondazione. In Anatolia, fino ad epoca contemporanea, le donne sterili invocavano il lupo per avere figli. In Kamčatka, i contadini, nelle feste ottobrali, realizzavano con il fieno il simulacro di un lupo a cui recavano voti, perché le ragazze in età da marito si sposassero entro l'anno. Questo intimo legame, nel bene e nel male, tra l'uomo e i canidi ha fatto sì che tra tutti i mannari proprio quelli di stirpe lupina siano tra le specie con le origini documentabili più antiche.
Nell'Antico Egitto era presente una figura con caratteristiche sia umane che di canide, il dio Anubi. Questa divinità veniva raffigurato come uno sciacallo, il più delle volte accucciato ma, quando deve presiedere ai riti del trapasso, assume la forma di un uomo con la testa di sciacallo. Le sue raffigurazioni, sebbene compaiano già all'inizio della storia egizia, si fanno più frequenti a partire dal Medio Regno, quando si diffondono maggiormente le tombe ipogee riccamente decorate. È da specificare che in questo caso non si può parlare di mannarismo vero e proprio perché manca l'aspetto della trasformazione, volontaria o involontaria; semplicemente, le due forme del dio convivono nell'immaginario egizio. La convivenza contemporanea di due o più forme per le divinità è caratteristica della religione egizia.
Zeus è un appassionato mutaforma e più volte si serve della sua facoltà per sedurre donne mortali eludendo la sorveglianza di Hera. Nel suo repertorio di trasformazioni (che, in effetti, si può ritenere illimitato, essendo egli un dio), vi è anche quella in lupo. Proprio in questa forma, e col nome di Liceo era adorato in Argo. In questa città, e sotto forma di lupo, Zeus era comparso a causa del malcontento popolare nei confronti del re Gelanore e appoggiare l'eroe Danao, che al re fu sostituito.
Febo, insieme a sua sorella Artemide, viene partorito da Latona, trasformata in lupa. Inoltre, tra le facoltà attribuite al dio Febo-Apollo vi è quella di mutare forma; una delle sue trasformazioni è appunto in lupo. A Febo Lykos viene anche dedicato un boschetto nei pressi del suo tempio ad Atene, nel quale soleva tener lezione ai suoi discepoli Aristotele. Il lupo diviene quindi animale della sapienza.
Il mito di Licaone documenta, nelle sue varie versioni, il passaggio del lupo da creatura degna di venerazione a essere da temere. Nella versione originaria, Licaone, re dei Pelasgi, fonda sul monte la città di Licosura, la prima città di questo popolo. Nelle versioni successive Licaone diviene un feroce re dell'Arcadia. Un giorno dette ospitalità a un mendicante ma, per burlarsi di lui, lo sfamò con le carni d'uno schiavo ucciso (secondo altre versioni, la portata principale era uno dei suoi stessi figli). Il mendicante, che era in realtà Zeus travestito, si indignò per il gesto sacrilego, e dopo aver fulminato i suoi numerosi figli lo trasformò in lupo, costringendolo a vagare per i boschi in forma di bestia. L'economia nella zona dell'Arcadia in cui ha origine la seconda versione del mito è molto più legata all'allevamento di quanto non fossero Atene o Argo. Si riflette quindi, in questa visione del predatore, l'atteggiamento di diffidenza che poteva assumere una società pastorale; il lupo viene visto, qui, come negativo, essere trasformati in esso è una punizione, non più una qualità divina. Il "lupo cattivo" stesso, nemesi dell'eroe in duemila anni di favole, ha i suoi natali nella Grecia antica. La lupa Mormolice, demone femminile, diviene lo spauracchio dei bambini cattivi, che, secondo le madri greche, fa diventare zoppi.
La figura del lupo, in qualche modo antropomorfa, fa la sua comparsa indipendente anche in altre zone europee. Presso le tribù galliche è un carnivoro necrofago, e viene raffigurato seduto come un uomo nell'atto di divorare un morto. Presso gli etruschi è Ajta a incarnare in qualche modo le sembianze del mannaro; il dio etrusco degli inferi ama portare un elmo di pelle di lupo, che lo rende invisibile.
È difficile tuttavia stabilire quando si abbiano le prime leggende che parlino esplicitamente di licantropi.
Nella cultura romana, il lupo non è visto solo con sospetto, ma anche con ammirazione. È un simbolo di forza, e la sua pelle viene indossata da importanti figure all'interno dell'esercito. I vexillifer, sottufficiali incaricati di portare le insegne di ogni legione, indossavano infatti una pelle di lupo che copriva l'elmo e parte della corazza. Il licantropo veniva chiamato versipellis, in quanto si riteneva che la pelliccia del lupo rimanesse nascosta all'interno del corpo di un uomo, che poi si "rivoltava" assumendo le fattezze bestiali.
Il rapporto tra il lupo e i Romani antichi è positivo, come testimoniato anche da altre tradizioni: a parte la lupa nutrice di Romolo e Remo, il 15 febbraio si svolgeva la cerimonia dei Lupercali, in onore del dio Luperco (identificato dai Greci con il loro Pan). Luperco era il protettore delle greggi e il rito era stato ereditato dai Sabini. Essi identificavano sé stessi nel lupo, animale da cui pensavano avessero origine le loro caratteristiche originarie di guerrieri e cacciatori. Il termine "lupo mannaro" ha origine dal basso latino lupus hominarius, il cui significato etimologico è "lupo che si comporta come un uomo".
Nelle tradizioni del Nord Europa compaiono figure di guerrieri, uomini e donne, consacrati a Odino, i berserker, che nella furia della battaglia si diceva si trasformassero in orsi, mentre gli úlfheðnar si tramutassero in lupi.
Fenrir è il prototipo del lupo mannaro scandinavo. È uno dei tre mostruosi figli di Loki, il dio vichingo degli inganni. Fenrir non è un lupo mannaro vero e proprio, perché non può trasformarsi e si presenta sempre in forma di lupo; tuttavia, è grosso al punto di essere deforme, ferocissimo, scaltro e dotato di parola come un uomo, tutte caratteristiche che lo avvicinano fortemente alla stirpe dei mannari. Gli dei vichinghi, man mano che cresce, iniziano a temerlo. Cercano di imprigionarlo, ma la belva è troppo forte e riesce a liberarsi. Per bloccarlo definitivamente devono ricorrere all'inganno e alla magia (altra analogia con molti miti riguardanti licantropi): lo legano con un laccio fabbricato dai nani intrecciando barba di donna, rumore di passi di gatto, radici di un monte, respiro di pesce, tendini d'orso e sputo d'uccello.
Ha forma di lupo anche l'innaturale progenie di una vecchia gigantessa. Due dei suoi figli lupi, Skǫll e Hati, inseguono dall'alba dei tempi il sole e la luna (ed è per questo motivo, secondo il mito, che i due astri si muovono) e finiranno per divorarli nell'ultimo giorno del mondo.
I lupi mannari propriamente detti compaiono anche nell'epica vichinga, in particolare nella saga dei Volsunghi, in almeno due occasioni. Nel canto quinto, a trasformarsi in lupo è la madre di re Sigger, facendo uso delle sue arti magiche. La regina-lupa si diverte, nella leggenda, a infierire sui figli di Volsung, che erano stati fatti prigionieri in battaglia da suo figlio; dei dieci uomini, nove vengono uccisi. Sopravvive Sigmund, aiutato dalla gemella Signi, che è anche moglie di re Sigger. Questa gli unge il volto di miele e la notte il lupo mannaro si ingolosisce, sentendo l'odore, ma gli lecca il volto anziché sbranarlo. Prontamente Sigmund gli afferra la lingua con i denti e la belva se la strappa per liberarsi. Nel tentativo, si procura una ferita che la uccide e, contemporaneamente, spezza i ceppi di Sigmund, liberandolo. Il tema del lupo mannaro ricompare nel canto ottavo; qui Sigmund e il nipote Sinfjotli giungono, attraverso una foresta, a una casa dove dormono due uomini di nobile stirpe. Sopra di loro sono appese delle pelli di lupo, due principi stregati da un incantesimo: devono sempre mostrarsi in forma di lupo, e solo una volta ogni cinque giorni possono riprendere sembianze umane. Sigmund e il nipote, incuriositi dalle pelli, le rubano, facendo ricadere su di loro la maledizione. Assumono sia le sembianze che la natura di lupi, e iniziano a aggredire uomini. In particolare, Sinfjotli si dimostra aggressivo e furbo. Sigmund e Sinfjotli riescono poi a liberarsi dalla maledizione del lupo mannaro dando fuoco alle pelli.
Il mito del licantropo si ritrova nel nord Europa anche in altre zone, oltre alla Scandinavia. Compaiono nella tradizione dei popoli germanici e delle isole britanniche a fianco, di volta in volta, dell'orso mannaro o del gatto selvatico.
In Barbagia esiste la leggenda dell'Erchitu, un uomo che può trasformarsi, non in lupo, ma in un grosso bue bianco dalle grandi corna d'acciaio. Nella Francia centrale e meridionale il lupo mannaro è il loup garou. Nella Francia settentrionale, in particolare in Bretagna, è il bisclavert. In Germania e in Gran Bretagna esiste il werwulf o werewolf, la cui origine etimologica è la medesima: wer, dalla stessa radice del latino vir ("uomo") e wulf o wolf ("lupo"). Nell'Europa dell'Est compare una figura ambigua, a metà tra il lupo mannaro e un demone in grado di risucchiare la forza vitale (che, più tardi, si identificherà col vampiro). Il suo nome cambia a seconda della regione, ma l'origine del nome rimane sempre la stessa. È detto oboroten in Russia, wilkolak in Polonia, vulkolak in Bulgaria, varcolac' (la forma forse più nota), in Romania. In Oriente, si diceva che Gengis Khan fosse discendente del "grande lupo grigio".
Nelle pianure degli Stati Uniti, erano gli indiani Pawnee a ritenersi imparentati con i lupi. Usavano anche ricoprirsi delle pelli di questi animali per andare a caccia. Un simile comportamento può avere un valore esclusivamente simbolico (la volontà di impadronirsi delle doti del predatore) e non certo mimetico: le potenziali prede degli uomini sono anche, da altrettanto tempo se non di più, prede del lupo, e sono quindi molto ben allenate a distinguerne il manto. Inoltre poco dopo la scoperta delle Americhe i coloni sostenevano che la licantropia fosse una maledizione dei "pelle rossa" dovuta all'"incrocio" di sangue tra coloni e indiani dovuti a matrimoni misti o ad altre motivazioni come gli stupri compiuti meschinamente da coloni nei confronti degli indiani. Ed altri sostenevano fosse la punizione di Dio per aver accettato scambi con gli indiani. Mentre i nativi americani sostenevano che la licantropia fosse una malattia o maledizione portata dai coloni. Nel Sudamerica, in Argentina e Paraguay esiste la leggenda del Lobizon dove si narra che il settimo figlio maschio di un settimo figlio maschio nascerà uomo-lupo. Nel Suriname è presente la figura dell'Azeman, spirito malvagio femminile con caratteristiche sia del licantropo che del vampiro.
Dal Basso Medioevo in avanti, il rogo è una soluzione usata a profusione per sbarazzarsi dei sempre più numerosi mutaformi, che paiono moltiplicarsi, specialmente in Francia e Germania. Il fenomeno arriva a toccare dimensioni gigantesche negli anni successivi alla controriforma, sia nei Paesi cattolici che protestanti. Redigere una contabilità precisa di quanti siano finiti al rogo con l'accusa di mannarrismo, da sola o in congiunzione con quella di stregoneria, è molto difficile. Le fonti più prudenti parlano di circa ventimila processi e condanne di licantropi tra il 1300 e il 1600, ma alcuni si sbilanciano fino a suggerire un numero prossimo alle centomila vittime. La storia più famosa è quella di un certo Peter Stubbe, che forse era effettivamente un serial killer. Per secoli si è comunque in presenza di una sorta di isteria collettiva.
Questa sorta di isteria collettiva porta a episodi terribili e grotteschi insieme. A tal medico Pomponace, sempre secondo Plancy, venne portato un contadino affetto da licantropia; questi gridava ai suoi vicini di fuggire se non volevano essere divorati. Siccome lo sventurato non aveva affatto la forma di lupo, i villici avevano cominciato a scorticarlo per vedere se per caso non avesse il pelo sotto la pelle. Non avendone trovato traccia, lo avevano portato dal medico. Pomponace, con maggior buon senso, stabilì che si trattava di un ipocondriaco.
Tutte le storie e le leggende viene rappresentato in forma di lupo che può però assumere un'ampia gamma di aspetti e dimensioni, dal normale lupo, da cui si distingue solo per l'intelligenza e la ferocia, a una mostruosità grossa come una vacca e deforme, dalla forza spaventosa e dalla ferocia senza pari. Un possibile tratto distintivo sta nelle sue impronte: in alcune leggende, il lupo mannaro lascia a terra il segno di cinque unghie (i canidi normali lasciano solo quattro tacche. Il pollice si è atrofizzato e non tocca il terreno). Alcuni di questi uomini bestia conservano la possibilità di parlare e ragionare come normali esseri umani, altri la perdono completamente. Anche alla regola secondo cui non vengono mai rappresentati come ibridi ci sono delle eccezioni, sia pure rare e parziali. Infatti, a volte il lupo mannaro sembra poter procedere su due zampe, o conservare una certa prensilità degli arti anteriori, cosa che gli consente, all'occorrenza, di intrufolarsi nelle case scassinando le porte chiuse. Altro tratto distintivo è l'immenso gusto del licantropo per la carne fresca. Diventa imperativo, per la possibile vittima medievale, cercare di capire anche come si presenta il mannaro in forma umana, per individuarlo e guardarsene. Il compito non è facile, perché esistono quasi tanti segni indicatori quante sono le versioni della bestia. Bisogna guardarsi da chi ha sopracciglia troppo folte e unite al centro, oppure il volto ferino, i canini troppo affilati, pelo sia sul dorso che sul palmo delle mani. Il dito indice più lungo del medio è sicuro indizio di licantropia, così pure un insano appetito per la carne cruda. È opportuno anche sospettare di chi sia troppo in forze senza che lo si veda mai mangiare; quasi di sicuro è un lupo mannaro che uccide persone la notte e le divora di nascosto.
Personaggio a metà tra lo stregone e l'uomo-lupo è il francese meneur de loups o "pastore di lupi". È una sorta di incantatore che, pur non trasformandosi personalmente in lupo, è in grado di radunare e guidare un branco di queste bestie per i suoi scellerati fini. La capacità di comandare un branco di normali lupi è spesso riconosciuta anche al licantropo. Alla testa dei suoi "simili", poi, il lupo mannaro può dare l'assalto a paesi o, addirittura, a roccaforti, facendo strage degli abitanti e divorando gli armenti. Talvolta, questi branchi misti si presteranno anche a fare da cavalcatura alle streghe, e a portarle ai luoghi del sabba.
Nel Medioevo si completa l'opera di demonizzazione del lupo, che viene assimilato al suo "doppio" innaturale e visto come servo delle streghe.
Molti sono i modi per diventare licantropi. L'unico che non figura nella tradizione è il morso: chi viene morso da un lupo mannaro non diventa lupo mannaro esso stesso. Il morso come veicolo dell'infezione muta forma è una trovata narrativa relativamente moderna, dovuta, quasi certamente, a una contaminazione proveniente dalle storie sul vampirismo. Per tutto il Medioevo invece, per trasformarsi in lupi il modo più sicuro rimane ricorrere alla magia. Un ulteriore sistema per trasformarsi è bere "acqua licantropica", cioè raccolta nelle impronte lasciate da un uomo-lupo.
La volontarietà di queste trasformazioni fa sì che possano avvenire in ogni ora del giorno o della notte e in ogni momento. Questo significa che, secondo molte tradizioni, non basta guardarsi dalla luna piena per essere in salvo dai lupi mannari. L'involontarietà della trasformazione non si ricollega solo al fatto che si verifichi in particolari congiunzioni astrali, ma anche alle sue cause: è solitamente dovuta agli effetti di una maledizione o ad altro accidente. Infatti, anche il venir maledetti da una strega può portare alla licantropia. La maledizione può essere dovuta anche a incidenti o piante velenose. Tra le scarse difese contro questo essere forte e feroce la più efficace pare essere l'argento, ma va notato che nei miti originali questo metodo non viene usato. Questo metallo può uccidere tutte le creature sovrannaturali (anche i vampiri, sebbene alcune tradizioni prediligono il paletto di frassino). Bisogna perciò trafiggere il mannaro con una lama di argento o sparargli con una pallottola dello stesso materiale. La credenza si deve alle proprietà di disinfettante che fin dall'epoca greca erano associate a questo metallo. Un'alternativa che sembra funzionare bene, almeno con quelli che usano una pelle per trasformarsi, è la distruzione della pelle stessa. Opzionalmente, dopo aver ucciso l'uomo-lupo, si può procedere al taglio della testa prima del seppellimento. Questo eviterà che il mostro, dopo morto, si tramuti in vampiro (tradizione slava). La licantropia si fronteggia meglio sul fronte della cura e della dissuasione. Se uccidere un lupo mannaro è complicato, si può sempre riuscire a sfuggirgli o a guarirlo. Buona efficacia ha anche l'aconito (in inglese prende il nome di wolfsbane, "veleno dei lupi") che risulta particolarmente sgradito. La soluzione definitiva e radicale rimane il fuoco.



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