Licantropi
Il lupo mannaro, detto anche uomo lupo o licantropo, è una
delle creature della mitologia e del folclore poi divenute tipiche della
letteratura dell'orrore e successivamente del cinema dell'orrore.
Secondo la leggenda, il lupo mannaro sarebbe un essere umano
condannato da una maledizione (o già dalla nascita) a trasformarsi in una
bestia feroce ad ogni plenilunio. La forma di cui si racconta più spesso è
quella del lupo, ma in determinate culture prevalgono l'orso, il bue (Erchitu)
o il gatto selvatico. Nelle tradizioni popolari il fatto che lo si possa
uccidere solo con un'arma d'argento, oppure che il licantropo trasmetta la
propria condizione ad un altro essere umano dopo averlo morso non sono
presenti. Alcuni credevano che uccidendo il lupo prima della prima
trasformazione la maledizione venisse infranta. È importante notare inoltre che
lupo mannaro e licantropo non sempre sono sinonimi: infatti nelle leggende
popolari il lupo mannaro è talvolta semplicemente un grosso lupo con abitudini
antropofaghe, a cui può essere associata una natura mostruosa. Inoltre, nel
caso del lupo mannaro come mutaforma, si può distinguere tra il lupo mannaro,
che si trasforma contro la propria volontà, e il licantropo, che si può
trasformare ogni volta che lo desidera e senza perdere la ragione (la
componente umana). Nella letteratura medica, con il termine licantropia clinica
è stata descritta una rara sindrome psichiatrica che avrebbe colpito le
persone, facendo sì che assumessero atteggiamenti da lupo durante particolari
condizioni (come le notti di luna piena).
Il lupo è un simbolo ambivalente: amato per gli stessi pregi
che hanno fatto dei suoi discendenti l'animale domestico per eccellenza,
invocato nei riti sciamanici come guida sul terreno di caccia, ammirato per la
forza e l'astuzia, addomesticato per diventare un alleato, ma poi cacciato per
impedirgli di predare le greggi e infine addirittura demonizzato durante il
Medioevo. Il modo di considerare il lupo muta, in maniera piuttosto brusca e
radicale, col passaggio dell'uomo dal nomadismo, basato sulla caccia, alla
cultura stanziale ed agricola. Il cacciatore ha bisogno della forza
dell'animale totemico e del predatore, che lo può portare a scovare e ad
uccidere la preda, e il lupo è il predatore per eccellenza. Per i cacciatori
nomadi delle steppe dell'Asia centrale era rappresentativo della tribù e suo
protettore. L'agricoltore, invece, ha un rapporto radicalmente diverso con
esso: il lupo diviene minaccia per le greggi ma, contemporaneamente, i suoi cuccioli,
debitamente addestrati, possono divenire preziosi alleati contro i loro stessi
simili.
Il mito di un essere umano che si trasforma in lupo o
viceversa è antico e presente in molte culture. I miti che riguardano la figura
del lupo hanno origine, con buona probabilità, nella prima età del bronzo,
quando le migrazioni delle tribù nomadi indoarie le portarono in contatto con
le popolazioni stanziali europee. Il substrato di religioni e miti
"lunari" e femminili degli antichi europei si innestò nel complesso
delle religioni "solari" e maschili dei nuovi arrivati, dando vita ai
miti delle origini, in cui spesso il lupo è protagonista. La sovrapposizione
tra i culti solari della caccia e quelli lunari della fertilità si riscontra
nei miti che vedono il lupo come animale propiziatore della fecondazione. In
Anatolia, fino ad epoca contemporanea, le donne sterili invocavano il lupo per
avere figli. In Kamčatka, i contadini, nelle feste ottobrali, realizzavano con
il fieno il simulacro di un lupo a cui recavano voti, perché le ragazze in età
da marito si sposassero entro l'anno. Questo intimo legame, nel bene e nel
male, tra l'uomo e i canidi ha fatto sì che tra tutti i mannari proprio quelli
di stirpe lupina siano tra le specie con le origini documentabili più antiche.
Nell'Antico Egitto era presente una figura con
caratteristiche sia umane che di canide, il dio Anubi. Questa divinità veniva
raffigurato come uno sciacallo, il più delle volte accucciato ma, quando deve
presiedere ai riti del trapasso, assume la forma di un uomo con la testa di
sciacallo. Le sue raffigurazioni, sebbene compaiano già all'inizio della storia
egizia, si fanno più frequenti a partire dal Medio Regno, quando si diffondono
maggiormente le tombe ipogee riccamente decorate. È da specificare che in
questo caso non si può parlare di mannarismo vero e proprio perché manca
l'aspetto della trasformazione, volontaria o involontaria; semplicemente, le
due forme del dio convivono nell'immaginario egizio. La convivenza
contemporanea di due o più forme per le divinità è caratteristica della
religione egizia.
Zeus è un appassionato mutaforma e più volte si serve della
sua facoltà per sedurre donne mortali eludendo la sorveglianza di Hera. Nel suo
repertorio di trasformazioni (che, in effetti, si può ritenere illimitato,
essendo egli un dio), vi è anche quella in lupo. Proprio in questa forma, e col
nome di Liceo era adorato in Argo. In questa città, e sotto forma di lupo, Zeus
era comparso a causa del malcontento popolare nei confronti del re Gelanore e
appoggiare l'eroe Danao, che al re fu sostituito.
Febo, insieme a sua sorella Artemide, viene partorito da
Latona, trasformata in lupa. Inoltre, tra le facoltà attribuite al dio
Febo-Apollo vi è quella di mutare forma; una delle sue trasformazioni è appunto
in lupo. A Febo Lykos viene anche dedicato un boschetto nei pressi del suo
tempio ad Atene, nel quale soleva tener lezione ai suoi discepoli Aristotele. Il
lupo diviene quindi animale della sapienza.
Il mito di Licaone documenta, nelle sue varie versioni, il
passaggio del lupo da creatura degna di venerazione a essere da temere. Nella
versione originaria, Licaone, re dei Pelasgi, fonda sul monte la città di
Licosura, la prima città di questo popolo. Nelle versioni successive Licaone
diviene un feroce re dell'Arcadia. Un giorno dette ospitalità a un mendicante
ma, per burlarsi di lui, lo sfamò con le carni d'uno schiavo ucciso (secondo
altre versioni, la portata principale era uno dei suoi stessi figli). Il
mendicante, che era in realtà Zeus travestito, si indignò per il gesto
sacrilego, e dopo aver fulminato i suoi numerosi figli lo trasformò in lupo,
costringendolo a vagare per i boschi in forma di bestia. L'economia nella zona
dell'Arcadia in cui ha origine la seconda versione del mito è molto più legata
all'allevamento di quanto non fossero Atene o Argo. Si riflette quindi, in
questa visione del predatore, l'atteggiamento di diffidenza che poteva assumere
una società pastorale; il lupo viene visto, qui, come negativo, essere
trasformati in esso è una punizione, non più una qualità divina. Il "lupo
cattivo" stesso, nemesi dell'eroe in duemila anni di favole, ha i suoi
natali nella Grecia antica. La lupa Mormolice, demone femminile, diviene lo
spauracchio dei bambini cattivi, che, secondo le madri greche, fa diventare
zoppi.
La figura del lupo, in qualche modo antropomorfa, fa la sua
comparsa indipendente anche in altre zone europee. Presso le tribù galliche è
un carnivoro necrofago, e viene raffigurato seduto come un uomo nell'atto di
divorare un morto. Presso gli etruschi è Ajta a incarnare in qualche modo le
sembianze del mannaro; il dio etrusco degli inferi ama portare un elmo di pelle
di lupo, che lo rende invisibile.
È difficile tuttavia stabilire quando si abbiano le prime
leggende che parlino esplicitamente di licantropi.
Nella cultura romana, il lupo non è visto solo con sospetto,
ma anche con ammirazione. È un simbolo di forza, e la sua pelle viene indossata
da importanti figure all'interno dell'esercito. I vexillifer, sottufficiali
incaricati di portare le insegne di ogni legione, indossavano infatti una pelle
di lupo che copriva l'elmo e parte della corazza. Il licantropo veniva chiamato
versipellis, in quanto si riteneva che la pelliccia del lupo rimanesse nascosta
all'interno del corpo di un uomo, che poi si "rivoltava" assumendo le
fattezze bestiali.
Il rapporto tra il lupo e i Romani antichi è positivo, come
testimoniato anche da altre tradizioni: a parte la lupa nutrice di Romolo e
Remo, il 15 febbraio si svolgeva la cerimonia dei Lupercali, in onore del dio
Luperco (identificato dai Greci con il loro Pan). Luperco era il protettore
delle greggi e il rito era stato ereditato dai Sabini. Essi identificavano sé
stessi nel lupo, animale da cui pensavano avessero origine le loro
caratteristiche originarie di guerrieri e cacciatori. Il termine "lupo
mannaro" ha origine dal basso latino lupus hominarius, il cui significato
etimologico è "lupo che si comporta come un uomo".
Nelle tradizioni del Nord Europa compaiono figure di
guerrieri, uomini e donne, consacrati a Odino, i berserker, che nella furia
della battaglia si diceva si trasformassero in orsi, mentre gli úlfheðnar si
tramutassero in lupi.
Fenrir è il prototipo del lupo mannaro scandinavo. È uno dei
tre mostruosi figli di Loki, il dio vichingo degli inganni. Fenrir non è un
lupo mannaro vero e proprio, perché non può trasformarsi e si presenta sempre
in forma di lupo; tuttavia, è grosso al punto di essere deforme, ferocissimo,
scaltro e dotato di parola come un uomo, tutte caratteristiche che lo
avvicinano fortemente alla stirpe dei mannari. Gli dei vichinghi, man mano che
cresce, iniziano a temerlo. Cercano di imprigionarlo, ma la belva è troppo
forte e riesce a liberarsi. Per bloccarlo definitivamente devono ricorrere
all'inganno e alla magia (altra analogia con molti miti riguardanti
licantropi): lo legano con un laccio fabbricato dai nani intrecciando barba di
donna, rumore di passi di gatto, radici di un monte, respiro di pesce, tendini
d'orso e sputo d'uccello.
Ha forma di lupo anche l'innaturale progenie di una vecchia
gigantessa. Due dei suoi figli lupi, Skǫll e Hati, inseguono dall'alba dei tempi
il sole e la luna (ed è per questo motivo, secondo il mito, che i due astri si
muovono) e finiranno per divorarli nell'ultimo giorno del mondo.
I lupi mannari propriamente detti compaiono anche nell'epica
vichinga, in particolare nella saga dei Volsunghi, in almeno due occasioni. Nel
canto quinto, a trasformarsi in lupo è la madre di re Sigger, facendo uso delle
sue arti magiche. La regina-lupa si diverte, nella leggenda, a infierire sui
figli di Volsung, che erano stati fatti prigionieri in battaglia da suo figlio;
dei dieci uomini, nove vengono uccisi. Sopravvive Sigmund, aiutato dalla
gemella Signi, che è anche moglie di re Sigger. Questa gli unge il volto di
miele e la notte il lupo mannaro si ingolosisce, sentendo l'odore, ma gli lecca
il volto anziché sbranarlo. Prontamente Sigmund gli afferra la lingua con i
denti e la belva se la strappa per liberarsi. Nel tentativo, si procura una
ferita che la uccide e, contemporaneamente, spezza i ceppi di Sigmund,
liberandolo. Il tema del lupo mannaro ricompare nel canto ottavo; qui Sigmund e
il nipote Sinfjotli giungono, attraverso una foresta, a una casa dove dormono
due uomini di nobile stirpe. Sopra di loro sono appese delle pelli di lupo, due
principi stregati da un incantesimo: devono sempre mostrarsi in forma di lupo,
e solo una volta ogni cinque giorni possono riprendere sembianze umane. Sigmund
e il nipote, incuriositi dalle pelli, le rubano, facendo ricadere su di loro la
maledizione. Assumono sia le sembianze che la natura di lupi, e iniziano a
aggredire uomini. In particolare, Sinfjotli si dimostra aggressivo e furbo. Sigmund
e Sinfjotli riescono poi a liberarsi dalla maledizione del lupo mannaro dando
fuoco alle pelli.
Il mito del licantropo si ritrova nel nord Europa anche in
altre zone, oltre alla Scandinavia. Compaiono nella tradizione dei popoli
germanici e delle isole britanniche a fianco, di volta in volta, dell'orso
mannaro o del gatto selvatico.
In Barbagia esiste la leggenda dell'Erchitu, un uomo che può
trasformarsi, non in lupo, ma in un grosso bue bianco dalle grandi corna
d'acciaio. Nella Francia centrale e meridionale il lupo mannaro è il loup
garou. Nella Francia settentrionale, in particolare in Bretagna, è il bisclavert.
In Germania e in Gran Bretagna esiste il werwulf o werewolf, la cui origine
etimologica è la medesima: wer, dalla stessa radice del latino vir ("uomo")
e wulf o wolf ("lupo"). Nell'Europa dell'Est compare una figura
ambigua, a metà tra il lupo mannaro e un demone in grado di risucchiare la
forza vitale (che, più tardi, si identificherà col vampiro). Il suo nome cambia
a seconda della regione, ma l'origine del nome rimane sempre la stessa. È detto
oboroten in Russia, wilkolak in Polonia, vulkolak in Bulgaria, varcolac' (la
forma forse più nota), in Romania. In Oriente, si diceva che Gengis Khan fosse
discendente del "grande lupo grigio".
Nelle pianure degli Stati Uniti, erano gli indiani Pawnee a
ritenersi imparentati con i lupi. Usavano anche ricoprirsi delle pelli di
questi animali per andare a caccia. Un simile comportamento può avere un valore
esclusivamente simbolico (la volontà di impadronirsi delle doti del predatore)
e non certo mimetico: le potenziali prede degli uomini sono anche, da
altrettanto tempo se non di più, prede del lupo, e sono quindi molto ben
allenate a distinguerne il manto. Inoltre poco dopo la scoperta delle Americhe
i coloni sostenevano che la licantropia fosse una maledizione dei "pelle
rossa" dovuta all'"incrocio" di sangue tra coloni e indiani
dovuti a matrimoni misti o ad altre motivazioni come gli stupri compiuti
meschinamente da coloni nei confronti degli indiani. Ed altri sostenevano fosse
la punizione di Dio per aver accettato scambi con gli indiani. Mentre i nativi
americani sostenevano che la licantropia fosse una malattia o maledizione
portata dai coloni. Nel Sudamerica, in Argentina e Paraguay esiste la leggenda
del Lobizon dove si narra che il settimo figlio maschio di un settimo figlio
maschio nascerà uomo-lupo. Nel Suriname è presente la figura dell'Azeman,
spirito malvagio femminile con caratteristiche sia del licantropo che del
vampiro.
Dal Basso Medioevo in avanti, il rogo è una soluzione usata
a profusione per sbarazzarsi dei sempre più numerosi mutaformi, che paiono
moltiplicarsi, specialmente in Francia e Germania. Il fenomeno arriva a toccare
dimensioni gigantesche negli anni successivi alla controriforma, sia nei Paesi
cattolici che protestanti. Redigere una contabilità precisa di quanti siano
finiti al rogo con l'accusa di mannarrismo, da sola o in congiunzione con quella
di stregoneria, è molto difficile. Le fonti più prudenti parlano di circa
ventimila processi e condanne di licantropi tra il 1300 e il 1600, ma alcuni si
sbilanciano fino a suggerire un numero prossimo alle centomila vittime. La
storia più famosa è quella di un certo Peter Stubbe, che forse era
effettivamente un serial killer. Per secoli si è comunque in presenza di una
sorta di isteria collettiva.
Questa sorta di isteria collettiva porta a episodi terribili
e grotteschi insieme. A tal medico Pomponace, sempre secondo Plancy, venne
portato un contadino affetto da licantropia; questi gridava ai suoi vicini di
fuggire se non volevano essere divorati. Siccome lo sventurato non aveva
affatto la forma di lupo, i villici avevano cominciato a scorticarlo per vedere
se per caso non avesse il pelo sotto la pelle. Non avendone trovato traccia, lo
avevano portato dal medico. Pomponace, con maggior buon senso, stabilì che si
trattava di un ipocondriaco.
Tutte le storie e le leggende viene rappresentato in forma
di lupo che può però assumere un'ampia gamma di aspetti e dimensioni, dal
normale lupo, da cui si distingue solo per l'intelligenza e la ferocia, a una
mostruosità grossa come una vacca e deforme, dalla forza spaventosa e dalla
ferocia senza pari. Un possibile tratto distintivo sta nelle sue impronte: in
alcune leggende, il lupo mannaro lascia a terra il segno di cinque unghie (i
canidi normali lasciano solo quattro tacche. Il pollice si è atrofizzato e non
tocca il terreno). Alcuni di questi uomini bestia conservano la possibilità di
parlare e ragionare come normali esseri umani, altri la perdono completamente.
Anche alla regola secondo cui non vengono mai rappresentati come ibridi ci sono
delle eccezioni, sia pure rare e parziali. Infatti, a volte il lupo mannaro
sembra poter procedere su due zampe, o conservare una certa prensilità degli
arti anteriori, cosa che gli consente, all'occorrenza, di intrufolarsi nelle
case scassinando le porte chiuse. Altro tratto distintivo è l'immenso gusto del
licantropo per la carne fresca. Diventa imperativo, per la possibile vittima
medievale, cercare di capire anche come si presenta il mannaro in forma umana,
per individuarlo e guardarsene. Il compito non è facile, perché esistono quasi
tanti segni indicatori quante sono le versioni della bestia. Bisogna guardarsi
da chi ha sopracciglia troppo folte e unite al centro, oppure il volto ferino,
i canini troppo affilati, pelo sia sul dorso che sul palmo delle mani. Il dito
indice più lungo del medio è sicuro indizio di licantropia, così pure un insano
appetito per la carne cruda. È opportuno anche sospettare di chi sia troppo in
forze senza che lo si veda mai mangiare; quasi di sicuro è un lupo mannaro che
uccide persone la notte e le divora di nascosto.
Personaggio a metà tra lo stregone e l'uomo-lupo è il
francese meneur de loups o "pastore di lupi". È una sorta di
incantatore che, pur non trasformandosi personalmente in lupo, è in grado di
radunare e guidare un branco di queste bestie per i suoi scellerati fini. La
capacità di comandare un branco di normali lupi è spesso riconosciuta anche al
licantropo. Alla testa dei suoi "simili", poi, il lupo mannaro può
dare l'assalto a paesi o, addirittura, a roccaforti, facendo strage degli
abitanti e divorando gli armenti. Talvolta, questi branchi misti si presteranno
anche a fare da cavalcatura alle streghe, e a portarle ai luoghi del sabba.
Nel Medioevo si completa l'opera di demonizzazione del lupo,
che viene assimilato al suo "doppio" innaturale e visto come servo
delle streghe.
Molti sono i modi per diventare licantropi. L'unico che non
figura nella tradizione è il morso: chi viene morso da un lupo mannaro non
diventa lupo mannaro esso stesso. Il morso come veicolo dell'infezione muta
forma è una trovata narrativa relativamente moderna, dovuta, quasi certamente,
a una contaminazione proveniente dalle storie sul vampirismo. Per tutto il
Medioevo invece, per trasformarsi in lupi il modo più sicuro rimane ricorrere
alla magia. Un ulteriore sistema per trasformarsi è bere "acqua
licantropica", cioè raccolta nelle impronte lasciate da un uomo-lupo.
La volontarietà di queste trasformazioni fa sì che possano
avvenire in ogni ora del giorno o della notte e in ogni momento. Questo
significa che, secondo molte tradizioni, non basta guardarsi dalla luna piena
per essere in salvo dai lupi mannari. L'involontarietà della trasformazione non
si ricollega solo al fatto che si verifichi in particolari congiunzioni
astrali, ma anche alle sue cause: è solitamente dovuta agli effetti di una
maledizione o ad altro accidente. Infatti, anche il venir maledetti da una
strega può portare alla licantropia. La maledizione può essere dovuta anche a
incidenti o piante velenose. Tra le scarse difese contro questo essere forte e
feroce la più efficace pare essere l'argento, ma va notato che nei miti
originali questo metodo non viene usato. Questo metallo può uccidere tutte le
creature sovrannaturali (anche i vampiri, sebbene alcune tradizioni prediligono
il paletto di frassino). Bisogna perciò trafiggere il mannaro con una lama di
argento o sparargli con una pallottola dello stesso materiale. La credenza si
deve alle proprietà di disinfettante che fin dall'epoca greca erano associate a
questo metallo. Un'alternativa che sembra funzionare bene, almeno con quelli
che usano una pelle per trasformarsi, è la distruzione della pelle stessa.
Opzionalmente, dopo aver ucciso l'uomo-lupo, si può procedere al taglio della
testa prima del seppellimento. Questo eviterà che il mostro, dopo morto, si
tramuti in vampiro (tradizione slava). La licantropia si fronteggia meglio sul
fronte della cura e della dissuasione. Se uccidere un lupo mannaro è
complicato, si può sempre riuscire a sfuggirgli o a guarirlo. Buona efficacia
ha anche l'aconito (in inglese prende il nome di wolfsbane, "veleno dei
lupi") che risulta particolarmente sgradito. La soluzione definitiva e
radicale rimane il fuoco.
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