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mercoledì 27 febbraio 2019

Leonarda Cianciulli: La saponificatrice di Correggio.


Leonarda Cianciulli: La Saponificatrice di Correggio.
Leonarda Cianciulli, nata a Montella il 14 aprile 1894 e morta a Pozzuoli, 15 ottobre 1970, è stata un'assassina seriale italiana. È passata alla storia come "la saponificatrice di Correggio" per aver ucciso tre donne e averle poi sciolte nella soda caustica, come nel processo per ottenere il sapone. Quasi tutto quello che si sa sulla Cianciulli è estratto dal suo memoriale, intitolato “Confessioni di un'anima amareggiata” sulla cui autenticità sono stati sollevati numerosi dubbi. Molti sostengono che sia in realtà opera degli avvocati che la difesero al processo e puntavano ad alleggerire la posizione dell'imputata, la quale aveva studiato solo fino alla terza elementare e dunque difficilmente poteva essere in grado di scrivere un memoriale di oltre 700 pagine.
Leonarda, ultima di sei figli, nasce a Montella, un piccolo paese dell'Irpinia, dall'unione di Mariano Cianciulli, allevatore di bestiame, con Serafina Marano, una vedova con altri due figli che l'aveva sposato in seconde nozze. Da bambina Leonarda soffrì d'epilessia; risulta però tutt'altro che veritiera la storia di un'infanzia infelice, sebbene lei stessa racconti:
«Cercai due volte di impiccarmi; una volta arrivarono in tempo a salvarmi e l'altra si spezzò la fune. La mamma mi fece capire che le dispiaceva di rivedermi viva. Una volta ingoiai due stecche del suo busto, sempre con l'intenzione di morire e mangiai dei cocci di vetro: non accadde nulla.»
In realtà i tentativi di suicidio si verificarono successivamente, nella primavera del 1941, quando fu condotta nelle carceri giudiziarie di Reggio Emilia.
Nel 1917, all'età di 23 anni, sposa Raffaele Pansardi, originario di Lauria, allora impiegato al catasto di Montella, in aperto contrasto con i familiari che avevano individuato per la sposa, com'era consuetudine all'epoca, un altro marito che le era anche cugino. La Cianciulli, nel suo memoriale, racconta di essere stata maledetta dalla madre alla vigilia delle nozze e d'aver perciò troncato ogni rapporto con lei: un fatto che avrebbe segnato profondamente la personalità della futura assassina. In altre fonti si legge inoltre che la supposta maledizione avrebbe condizionato la psiche di Leonarda e anche la prematura morte di 8 dei suoi 12 figli.
Secondo il memoriale della Cianciulli, sua madre aveva pronunciato contro di lei una maledizione in punto di morte che le augurava una vita piena di sofferenze. Come se ciò non bastasse, anni prima una zingara le aveva fatto una terribile profezia, la cui prima parte recitava:
«Ti mariterai, avrai figliolanza, ma tutti moriranno i figli tuoi.»
La predizione (sempre secondo il memoriale) fu veritiera: le sue prime 13 gravidanze finiscono con 3 aborti spontanei e 10 neonati morti nella culla. Solo dopo l'intervento di una "strega" locale, Leonarda riesce finalmente a portare a termine la prima e poi altre tre gravidanze. Questi quattro bambini diventano per Leonarda un bene da difendere a qualsiasi prezzo. Così si legge infatti nelle sue memorie:
«Non potevo sopportare la perdita di un altro figlio. Quasi ogni notte sognavo le piccole bare bianche, inghiottite una dopo l'altra dalla terra nera... per questo ho studiato magia, ho letto i libri che parlano di chiromanzia, astronomia, scongiuri, fatture, spiritismo: volevo apprendere tutto sui sortilegi per riuscire a neutralizzarli.»
La giovane coppia va a vivere dal 1921 al 1927 a Lauria, in provincia di Potenza, e successivamente a Lacedonia. Nel 1930 il terremoto del Vulture è la causa del trasferimento degli sposi a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, al terzo piano di una casa in corso Cavour 11. Già a Lauria, così come a Montella prima e a Lacedonia dopo, la giovane Leonarda Pansardi era nota ai compaesani come donna di facili costumi, disonorata, impulsiva, ribelle all'autorità maritale e dedita alla millanteria e alla truffa. Prova ne sono le precedenti condanne del 1912 (per furto, quando aveva solo 18 anni) e 1919 (minaccia a mano armata di pugnale) a Montella e del 1927 inflìttale nel paese lucano; qui la Cianciulli fu processata e condannata per truffa continuata a dieci mesi e quindici giorni di reclusione, scontati poi nelle carceri di Lauria e Lagonegro, e 350 lire di multa poiché aveva raggirato una contadina del posto dalla quale s'era fatta consegnare denari e oggetti di valore di diverse migliaia di lire; inutile fu il tentativo del suo avvocato difensore di farle riconoscere il beneficio del vizio parziale di mente. In Emilia, il marito continua a lavorare come impiegato all'Ufficio del Registro, col modesto stipendio di 850 lire al mese, a malapena sufficiente per mantenere decorosamente moglie e figli, e si dà al vino. La Cianciulli, a suo dire, si organizza per risollevare le sorti della famiglia: beneficiando anche dei risarcimenti devoluti alle vittime del sisma, ha avviato un piccolo ma fiorente commercio di abiti e mobili, oltre ad offrire "servizi" di chiromanzia e astrologia. Mentre a Lauria aveva avuto una cattiva nomea presso i compaesani, a Correggio Leonarda è giudicata al massimo una persona eccentrica, ma è benvoluta e stimata da tutti, considerata una persona affidabile, una madre esemplare e - siamo negli anni del Ventennio - una fervente fascista. Accoglie in casa sua molte persone che intrattiene con aneddoti e cui offre dolci che ama cucinare; in particolare riceve spesso tre donne, tutte sole e non più giovani, insoddisfatte della routine di paese e desiderose di rifarsi una vita altrove: approfittando di questo loro desiderio, Leonarda le attira nella sua trappola.
Abbandonata nel frattempo dal marito, nel 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale, l'unica figlia femmina frequenta ancora l'asilo delle suore; i due maschi più giovani sono l'uno militare di leva e l'altro studente ginnasiale, mentre il più grande, il più amato, nonostante sia iscritto a Lettere all'Università di Milano, corre il rischio di essere richiamato al fronte. Al solo pensiero di tale sorte per il figlio prediletto, Leonarda, secondo le sue parole, sarebbe caduta preda dello sconforto. Memore dell'intervento magico compiuto anni prima della strega, andato a buon fine, Leonarda trova ben presto la soluzione al suo problema: la magia, prendendo così la drastica decisione di compiere sacrifici umani in cambio della vita del figlio. Invero, ai giudici che in seguito la interrogarono, in aula, affermò che le era apparsa in sogno la Madonna e sarebbe stata lei a suggerirle questo "scambio".
Gli omicidi si svolgono dal 1939 al 1940, e nel 1941 si cominciano a diffondere le voci della scomparsa di tre donne. Tali pettegolezzi prendono corpo e non ricevendo più da tempo notizie della cognata scomparsa (la più nota delle tre, la Cacioppo, già famoso soprano d'opera), la signora Albertina Fanti denuncia ufficialmente le sparizioni al questore di Reggio Emilia, il quale incarica delle indagini il commissario Serrao. Subito i sospetti ricadono sulla Cianciulli, che aveva intrattenuto rapporti di amicizia con tutte e tre le donne. La Cianciulli respinge tali voci, minaccia di denunciare per ingiuria e assume toni di sfida nei confronti degli inquirenti, cosicché viene arrestata. La Cianciulli aveva avuto la premura di scegliere tre donne sole, senza prossimi congiunti e con cospicui risparmi in denaro, ma nessuno poteva credere che la moglie di un funzionario, alta 1,50 e di 50 chili, potesse macchiarsi di triplice omicidio. Il questore di Reggio Emilia, seguendo le tracce di un Buono del Tesoro appartenente alla Cacioppo presentato al Banco di San Prospero dal parroco Adelmo Frattini, convocò il prete che disse di aver ricevuto il buono da Abelardo Spinabelli, amico della Cianciulli. Lo stesso Spinabelli dichiarò di averlo ricevuto dalla Cianciulli per il saldo di un debito. S'inizia a sospettare il reato di associazione per delinquere per il coinvolgimento del prete, Spinabelli, la Cianciulli e il figlio Giuseppe Pansardi che più volte, sotto incarico della madre, aveva spedito delle lettere da Piacenza spacciandosi per la vittima che assicurava la sua salute e aveva fatto lavare degli abiti appartenuti alle vittime. Cadono però tali sospetti per l'estraneità ai fatti del prete e di Spinabelli e gli unici sospettati rimangono la Cianciulli e il figlio, che sconterà cinque anni di reclusione per poi essere rilasciato per insufficienza di prove (la madre si prodigò con tutte le sue forze per convincere i magistrati di essere l'unica colpevole).
La Cianciulli davanti al commissario Serrao si dimostra molto reticente e rivela i particolari un po' alla volta: dirà prima di aver ucciso la Cacioppo d'accordo con Spinarelli, distrutto il cadavere tramite saponificazione e aver gettato i resti nel canale di Correggio, poi confesserà solo dopo lunghi interrogatori di aver ucciso anche le altre due vittime. Davanti all'agente di Polizia Valli, che le domandò che fine avesse fatto fare alle tre donne, lei risponde:
«Ebbene me le ho mangiate le mie amiche, se vuole essere mangiato anche lei, son pronta a divorarlo [...], le scomparse me le avevo mangiate una in arrosto, una a stufato, una bollita.»
E nelle sue memorie aggiunse un inquietante:
«Se sapeste cosa c'era di verità in queste parole...»
Infine per i numerosi elementi che riconducevano alla Cianciulli, il rinomato contegno della Cacioppo (che invece la Cianciulli sosteneva fosse in cerca di un uomo) e i reperti d'ambiente (sangue e dentiera appartenenti alle vittime ritrovati nella casa della saponificatrice), si ritenne certa la colpevolezza della donna. La Cianciulli allora confessò d'aver ucciso le donne, distrutto i corpi facendoli bollire in un pentolone pieno di soda caustica portata a 300 gradi, creato saponette con l'allume di rocca e la pece greca, disperso i resti nel pozzo nero e conservato il sangue per farlo attecchire al forno e mischiato a latte e cioccolato per farci biscotti. Questi vennero dati da mangiare ai figli, che credeva così di salvare da una morte misteriosa: la Cianciulli si identificava infatti nella dea Teti, perché come Teti aveva voluto rendere i figli immortali bagnandoli nelle acque del fiume Stige, così anche lei voleva salvare dalla morte i figli col sangue delle sue vittime. La Cianciulli fu dichiarata colpevole, quindi, di triplice omicidio, distruzione di cadavere tramite saponificazione e furto aggravato, con la pena di 15.000 lire, trenta anni di reclusione e tre da scontare prima in un ospedale psichiatrico.
Ermelinda Faustina Setti, la più anziana delle sue vittime, è la prima a finire nel pentolone della Cianciulli, anche chiamata "Rabitti". Si tratta di una donna di settant'anni, semianalfabeta ma inguaribile romantica, che Leonarda attira con l'assicurazione di averle trovato un marito a Pola. Leonarda la convince inoltre a non parlare a nessuno della novità, per evitare invidie e maldicenze; il 17 dicembre 1939, il giorno della partenza, Faustina si reca a casa dell'amica, per farsi dare le ultime istruzioni e per farsi scrivere da Leonarda una lettera da spedire alle amiche appena giunta a Pola, nonché per firmare a Leonarda una delega per gestire i suoi beni. Ma il viaggio è destinato a non cominciare mai: Leonarda, infatti, uccide l'anziana donna a colpi di ascia, poi ne trascina il corpo in uno stanzino e lo seziona in nove parti, raccogliendo il sangue in un catino. Come ella stessa scriverà nel memoriale redatto in carcere:
«Gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi e che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io.»
La seconda vittima, un'insegnante d'asilo di nome Francesca Clementina Soavi, a cui Leonarda aveva promesso un lavoro al collegio femminile di Piacenza, cade nella trappola il 5 settembre 1940: per stornare i sospetti più a lungo possibile, Leonarda la convince a scrivere delle cartoline ai familiari per scusarsi dell'assenza e a spedirle da Correggio, per evitare di far conoscere la sua destinazione, almeno fino a quando non sarebbe stata sicura di aver ottenuto il posto. Il copione si ripete: dopo averla uccisa, Leonarda ruba i pochi soldi della vittima e, con il permesso che costei le aveva concesso prima di morire, si fa carico di vendere tutte le sue cose e si tiene la somma guadagnata. Il figlio Giuseppe va a Piacenza a spedire le lettere della vittima. Leonarda non può ancora saperlo, ma Francesca non ha mantenuto la promessa di tenere la bocca chiusa sul suo imminente trasferimento: una vicina di casa, infatti, è a conoscenza della sua destinazione, ma non si fa avanti e la vicenda viene dimenticata, anche perché la scomparsa di una sola donna si somma alle centinaia di morti che la guerra provocava ogni giorno.
La terza vittima è la cinquantanovenne Virginia Cacioppo (Reggio Emilia, 17 giugno 1881 – Correggio, 30 novembre 1940), un'ex soprano di buon successo (dopo aver studiato canto al Conservatorio di Milano ed esordito nella Carmen di Bizet nel luglio del 1904 al Teatro Valli di Reggio Emilia si costruì un cospicuo curriculum, ricevendo notorietà e recitando in opere di Verdi, Puccini e Mozart per lo più in Italia, in Libano e in Egitto anche al fianco di direttori d'orchestra importanti come Emilio Usiglio). Leonarda attira la sua curiosità offrendole un impiego a Firenze come segretaria di un misterioso impresario teatrale, e contemporaneamente la stuzzica ventilandole l'ipotesi di un possibile futuro ingaggio. Di nuovo, le avanza la preghiera di non dire niente a nessuno, ma ancora una volta la promessa viene infranta: Virginia, infatti, si confida con un'amica la mattina stessa della sua "partenza". Quindi, la poveretta scompare. Infatti, il 30 novembre 1940 anche la Cacioppo è finita nel pentolone di Leonarda Cianciulli che, in proposito, scriverà più tardi nel suo memoriale:
«Finì nel pentolone, come le altre due (…); ma la sua carne era grassa e bianca: quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i dolci furono migliori: quella donna era veramente dolce.»
Ascoltata una sua confessione integrale, il 12 giugno 1946 a Reggio Emilia si apre il processo, nel quale emerge un interessante punto di dibattito: mentre l'accusa sostiene, infatti, che Leonarda abbia agito per pura avidità per il denaro delle sue tre vittime, lei s'intestardisce a giustificare i suoi omicidi come un tributo di sangue dovuto alla memoria della madre morta, che le sarebbe comparsa in sogno minacciandola di prendersi le vite dei suoi figli, se in cambio non avesse versato sangue fresco e innocente. La leggenda narra che, durante il processo, Leonarda sarebbe stata portata (di nascosto) in obitorio dove, per provare di aver agito da sola, con l'aiuto di seghe e coltelli, sarebbe riuscita a smembrare un cadavere in solo dodici minuti.
La perizia del professor Filippo Saporito, docente all'università di Roma e direttore del manicomio criminale di Aversa, riesce a convincere la giuria solo della seminfermità mentale dell'imputata, seguendo le teorie di Cesare Lombroso, allora molto in voga (mentre Saporito propendeva per la totale infermità causata da una psicosi-isterica). Il 20 luglio 1946 la Cianciulli viene quindi ritenuta colpevole dei tre omicidi, del furto delle proprietà delle vittime e del vilipendio dei cadaveri, e perciò condannata al ricovero per almeno tre anni in un manicomio criminale e a trent'anni di reclusione. Gli anni della condanna erano stati ridotti a ventiquattro per la semi-infermità mentale, ma poi riportati a trenta per la continuità del reato; inoltre la giurisprudenza di allora negò anche la premeditazione perché la riteneva incompatibile con la semi-infermità. Di fatto, la Cianciulli entrerà in manicomio e non ne uscirà più. Muore dopo ventiquattro anni, il 15 ottobre 1970, nel manicomio di Pozzuoli, all'età di 77 anni, per apoplessia cerebrale. Sepolta nel cimitero di Pozzuoli in una tomba per poveri, al termine del periodo di sepoltura, nel 1975, nessuno ne reclamò il corpo e i resti finirono nell'ossario comune del cimitero della città. Una suora del carcere la ricorda in questo modo:
«Malgrado gli scarsi mezzi di cui disponevamo preparava dolci gustosissimi, che però nessuna detenuta mai si azzardava a mangiare. Credevano che contenessero qualche sostanza magica.»
Il martello, il seghetto, il coltello da cucina, le scuri, la mannaia e il treppiede, cioè gli strumenti di morte usati dalla Cianciulli per compiere i tre omicidi, sono conservati dal 1949 a Roma nel Museo Criminologico.

mercoledì 20 febbraio 2019

Erzsébet Báthory: la Contessa Sanguinaria


Erzsébet Báthory: la Contessa Sanguinaria
Erzsébet Báthory, soprannominata la Contessa Dracula o Contessa Sanguinaria, nata a Nyírbátor, 7 agosto 1560 e morta a Csejte, 21 agosto 1614 a 54 anni, è stata una serial killer ungherese. Lei e quattro suoi collaboratori furono accusati di aver torturato e ucciso centinaia di giovani donne. Le vittime oscillerebbero tra le 100 accertate e altre 300 di cui era fortemente sospettata all'epoca; secondo un diario trovato durante la perquisizione in casa sua, le vittime sarebbero 650, e ciò farebbe di lei la peggiore assassina seriale mai esistita; ma gli storici tengono per vera la stima delle 100/300 vittime e sono scettici circa la veridicità e/o esistenza di questo diario.
Erzsébet nacque nel 1560 a Nyírbátor, un villaggio nel nord-est dell'attuale Ungheria, ma venne allevata nella proprietà di famiglia di Ecsed in Transilvania (odierna Romania). La sua famiglia, i Báthory-Ecsed e i Báthory-Somlyó, faceva parte delle casate protestanti ungheresi. L'albero genealogico dei Báthory comprendeva vari eroi di guerra protettiva contro i turchi osmani, un cardinale e un re di Polonia. Nella sua famiglia, a causa della consanguineità (anche il padre aveva sposato una sua cugina), non mancavano malattie del sistema nervoso: molti suoi membri mostravano segni di epilessia, schizofrenia e altri disturbi mentali. Non stupisce infatti che fin da bambina ella dava segni di squilibrio passando repentinamente dalla quiete alla collera. All'età di circa sei anni, stando alla leggenda, fu testimone di un fatto che lasciò su di lei una traccia indelebile: un gruppo di zingari venne invitato nella sua casa per intrattenere la corte; uno di essi venne però condannato a morte per aver venduto i figli ai turchi. Le sue grida lamentose giunsero fino al castello, attirando l'attenzione di Erzsébet, la quale, all'alba, fuggì dal castello per vedere l'esecuzione della condanna: dei soldati tagliarono il ventre di un cavallo legato a terra, il condannato venne preso e infilato nel ventre, rimase fuori solo la testa, poi un soldato ricucì il ventre del cavallo con il condannato al suo interno. Nel 1571, all'età di 11 anni, fu promessa in sposa al conte Ferenc Nádasdy, di sette anni più grande di lei, e andò a vivere nel castello di Nádasdy di Sárvár nel Transdanubio, presso il confine austriaco. All'età di 13 anni, incontrò un suo cugino, il principe di Transilvania, il quale, sotto i suoi occhi, fece tagliare naso e orecchie a 54 persone sospettate di aver fomentato una ribellione dei contadini. L'8 maggio 1575, all'età di quindici anni, sposò il fidanzato, Ferenc Nádasdy, a Vranov nad Topľou (Varanno), presso Prešov, nell'attuale Slovacchia nord-orientale. Al matrimonio fu invitato persino il sovrano del Sacro Romano Impero Massimiliano II, il quale, tuttavia, causa la lontananza, non poté partecipare, ma inviò una delegazione con un costoso gioiello come regalo di nozze.
Il marito aveva studiato a Vienna, dove si era dimostrato un buon atleta; inoltre faceva all'epoca parte di un gruppo di spadaccini noto come il "Terribile Quintetto". Amava torturare i servi, senza però ucciderli: una delle sue torture preferite consisteva nel cospargere di miele una ragazza nuda e lasciarla legata vicino alle arnie di sua proprietà. Essendo Nádasdy quasi sempre lontano da casa per combattere i turchi, la responsabilità del castello di Sárvár era affidata ad Erzsébet. Erzsébet amava vestirsi da maschio ma nel contempo era ossessionata dalla sua bellezza femminile. Verso i 18-19 anni ebbe una figlia da una relazione illegittima e la affidò a un contadino. Nella leggenda popolare si dice che questa bambina sia la progenitrice di alcune delle famiglie più antiche della zona, quali i Mansfeld, i Riddler e gli Helbinger. Nei primi dieci anni di matrimonio non ebbe figli, ma nei nove anni seguenti partorì tre figlie e un figlio. Fu una madre molto protettiva e gestì bene la servitù del castello. Per passare il tempo quando il marito era lontano da casa, Erzsébet cominciò a far visite alla contessa Karla, sua zia, e si dice che partecipasse alle orge da lei organizzate. Conobbe nello stesso periodo Dorothea Szentes, un'esperta di magia nera che incoraggiò le sue tendenze sadiche. Dorothea, conosciuta come Dorka, e il suo servo Thorko le insegnarono i segreti e le pratiche della stregoneria di cui scriveva spesso al marito in lunghe lettere.
Erzsébet riteneva un affronto intollerabile la fuga di una serva e la punizione era quasi sempre la morte. Una sera, una ragazza di dodici anni, Dora, riuscì a fuggire dal castello con indosso solo una lunga camicia bianca. Venne presa poco dopo e condotta dalla contessa, la quale la costrinse ad entrare in una gabbia cilindrica troppo stretta per sedersi e troppo bassa per stare in piedi. La gabbia venne quindi sollevata da terra tramite delle carrucole e spinta contro dei paletti appuntiti. Il valletto nano al servizio di Erzsébet, Ficzkó, manovrò le corde in modo che la gabbia oscillasse: in questo modo, il corpo venne fatto a pezzi. In un'altra occasione, in pieno inverno, fece condurre nel cortile, sotto la sua finestra, delle ragazze denudate. Ordinò quindi di versare acqua su di loro. Le ragazze morirono per assideramento. Suo marito non era inferiore a lei in quanto a crudeltà: una volta ai due sposi venne il sospetto che una serva si fosse finta malata, le fecero così infilare tra le dita dei pezzi di carta impregnati d'olio ai quali fu poi dato fuoco; dopo questo fatto ben pochi osarono dichiararsi ammalati. I segni della sua pazzia si palesavano sulle sue serve, castigate sempre più duramente per i loro errori.
Sotto tortura, dei testimoni affermarono che un giorno, dopo aver percosso una domestica, alcune gocce di sangue di questa colarono sulla mano della contessa. La Báthory credette, in seguito, che in quel punto specifico della mano la sua pelle fosse ringiovanita. Chiese agli alchimisti delucidazioni. Costoro, pur di compiacerla, si erano inventati la leggenda che raccontava di una giovane vergine il cui sangue aveva avuto effetti analoghi sull'epidermide raggrinzita di un aristocratico. La Báthory finì con il convincersi che fare abluzioni nel sangue di giovani vergini (in particolare della sua stessa classe sociale), o berlo quando queste fossero state particolarmente avvenenti, le avrebbe garantito la giovinezza eterna.
Si stima che abbia cominciato ad uccidere nel periodo tra il 1585 ed il 1610. Il marito ed i parenti sapevano delle sue inclinazioni sadiche, ma non intervennero. Cominciò a torturare e ad uccidere barbaramente giovani contadine, e in seguito, anche le figlie della piccola nobiltà. Infatti, nel 1609 Erzsébet istituì, nel suo castello, un'accademia che aveva, come fine apparente, l'educazione di ragazze provenienti da famiglie agiate. Prese a tradimento, le sue vittime venivano spogliate, incatenate a capo in giù, quindi, seviziate. Le loro gole venivano recise e il sangue fluiva, pronto per essere raccolto e usato da Erzsébet. Si narra che la Contessa abbia fatto costruire da un orologiaio svizzero un marchingegno chiamato "Vergine di Ferro" (simile alla futura Vergine di Norimberga), la quale aveva la forma di una donna dai lunghissimi capelli biondo argenteo (probabilmente sul modello di qualche fanciulla uccisa da lei stessa) che arrivavano fino quasi ai piedi. Ogni qualvolta una ragazza le si avvicinava, la Vergine di Ferro alzava le braccia e stringendola in una morsa mortale la uccideva, trapassandola con dei coltellacci acuminati fuoriusciti dal petto.
Quando le denunce per le sparizioni delle giovani aristocratiche arrivarono alla Chiesa cattolica, l'imperatore Mattia II (che era molto meno ricco della contessa ungherese) intervenne ordinando un'indagine sulla nobildonna. Gli inviati dell'imperatore entrarono di nascosto nel castello e colsero sul fatto la Báthory mentre torturava alcune ragazze; trovarono anche in molte stanze e nelle prigioni diversi cadaveri straziati e donne ancora vive con parti del corpo amputate. Fu incriminata e murata viva in una stanza del suo stesso castello, con un foro per ricevere il cibo. Morì quattro anni più tardi, lasciandosi morire di fame in quella cella. Altre quattro persone, tra cui la fedelissima domestica Ilona Joó e l'amante László, un esponente della piccola nobiltà locale, furono condannati come suoi complici e torturati con le seguenti sentenze: Ficzkó venne decapitato e gettato nel fuoco, Ilona Joó ebbe le dita amputate e fu bruciata viva assieme a Dorka. Katalyna Beniezky, la meno cattiva del gruppo della contessa Báthory, ebbe una condanna più mite, perché ella si limitava a nascondere i cadaveri delle fanciulle uccise e a volte, finché erano ancora in vita, cercava di dar loro da mangiare a rischio della sua stessa vita.
Non è mai stato chiarito il numero esatto delle sue presunte vittime, ma dai suoi diari (presumibilmente falsificati) e dai suoi appunti emergono 650 nomi accuratamente trascritti. Se questi nomi fossero esattamente quelli di tutte le sue vittime, ciò farebbe di lei la più efferata e più grande assassina seriale della storia. Ma, come indicato sopra, gli storici hanno ridotto le vittime entro un numero compreso tra le 100 e le 300 circa. La sua storia sfuma nella leggenda ed è condita di tradizioni popolari. Secondo le calunnie Erzsébet Báthory è infatti diventata un personaggio di culto dell'immaginario vampiresco. La contessa divenne estremamente potente alla morte del marito Ferenc Nádasdy, avvenuta nel 1604. A seguito della sua scomparsa, divenne amministratrice dei beni del figlio di soli sei anni. La contessa acquistò ancora più potere quando nel 1607 il principe Gábor Báthory (Gabriele Báthory), suo nipote, venne eletto Principe di Transilvania. Tale elezione andò a scapito del potente conte György Thurzó (Giorgio Thurzó), che divenne pertanto nemico dei Báthory e della contessa in particolare.
È stato lontanamente ipotizzato (ma ciò non può essere accertato) che la congiura ai danni della contessa fosse organizzata dallo stesso Thurzó, divenuto Conte Palatino d'Ungheria nel 1609. Fu lui a ordinare, il 5 marzo 1610, l'inchiesta preliminare contro Erzsébet, sulla base di alcune denunce anonime. Ma sembra che le denunce non fossero arrivate a lui ma direttamente a Mattia II, sovrano d'Ungheria, il quale vide nel "processo Báthory" la possibilità di confiscare l'imponente patrimonio della contessa e ridimensionare in tal modo l'influenza politica della sua famiglia. Fu proprio Mattia a firmare il decreto di prigionia per la contessa, obbligandola alla fissa dimora in un luogo rinchiuso, per soddisfare le impellenti richieste delle famiglie nobili delle vittime uccise e dissanguate.

mercoledì 13 febbraio 2019

Nodo d'Amore

La leggenda del Nodo d'Amore
Sul finire del Trecento il signore di Milano Giangaleazzo Visconti si appostò con le sue truppe sulle sponde del fiume Mincio. Nell'accampamento approntato per la notte il buffone Gonnella raccontò ai soldati di una leggenda locale: di come il fiume fosse popolato di splendide ninfe che di notte uscivano per danzare, ma che una maledizione aveva condannato a trasformarsi in orride streghe.



Durante quella stessa notte le ninfe-streghe uscirono e iniziarono a ballare tra i soldati addormentati; il capitano delle guardie Malco, però, stava vegliando e alzatosi improvvisamente ne inseguì una; dimenandosi, la strega perse il mantello rivelandosi una bellissima ninfa, Silvia. I due si innamorarono e si giurarono eterno amore; prima di tornare nel fiume, la ninfa donò a Malco un fazzoletto dorato come pegno. La sera successiva durante dei festeggiamenti Malco riconobbe tra le danzatrici Silvia che per amor suo si era spinta tra gli uomini. Gli sguardi che i due si scambiarono ingelosirono però Isabella, nobile dama invaghita del capitano, che denunciò Silvia come strega. Le guardie intervennero per arrestarla, ma Malco permise alla ninfa di fuggire. Imprigionato, il capitano ricevette la notte stessa la visita di Isabella, che gli chiese perdono. In quel mentre comparve anche Silvia che propose all'amato l'unica via di fuga possibile: non sulla terra, ma nelle acque del fiume! I due si diressero al Mincio, inseguiti dalle guardie del Visconti: quando anche il signore di Milano giunse presso il fiume, vi trovò solamente il fazzoletto di seta dorata annodato dai due amanti per sigillare il loro amore.

mercoledì 6 febbraio 2019

Slenderman


Slenderman
Lo Slender Man (conosciuto anche come Slenderman o Slender, il cui nome vuol dire uomo esile) è un personaggio immaginario, protagonista di racconti dell'orrore (creepypasta) e videogiochi, nato come fenomeno di Internet. Ha ispirato anche opere di terze parti. È stato creato da Eric Knudsen (noto anche col nome d'arte di Victor Surge) nel 2009 per un concorso fotografico sul sito Something Awful, dove bisognava ritoccare delle foto aggiungendo dettagli macabri o entità misteriose. Nelle foto preparate da Knudsen, lo Slender Man appariva insieme a dei bambini in un parco giochi. Le immagini erano virate in seppia e corredate da una breve didascalia. Il personaggio impressionò la giuria e Knudsen vinse il concorso. Lo Slender Man riscosse un enorme successo e divenne protagonista di numerose creepypasta (storie dell'orrore create perlopiù su internet) e numerose opere fan art dedicate a esso, da creare un vero movimento fandom dedicato. In un'intervista pubblicata sul sito Know Your Meme, Knudsen ha dichiarato di essersi ispirato a leggende popolari come Uomo nero, alle opere di Howard Phillips Lovecraft, Zack Parsons, e Stephen King (in particolare, al romanzo La nebbia), e ai libri dello scrittore surrealista William Seward Burroughs II. La prima vera diffusione del personaggio avvenne su Youtube. Il canale “MarbleHornets" produsse una serie di video in stile finto documentario nei quali dei ragazzi, con l'ausilio di una telecamera amatoriale, riprendevano eventi misteriosi per un concorso scolastico. Durante le riprese, l'essere fu avvistato più volte e i ragazzi ne furono perseguitati. In questi video, l'entità viene chiamata The Operator (in italiano: L’operatore) e agisce insieme a due Proxy, soprannominati Masky e Hoody per via del fatto che indossano rispettivamente una maschera e un cappuccio, obbediscono ciecamente all'operatore e tengono nascosta la loro identità. La webserie riscosse un enorme successo e ne fu estratto un adattamento cinematografico. Lo Slender Man viene descritto come un uomo di carnagione bianca, di corporatura snella, alto circa 240 cm. Il suo volto risulta privo di occhi, naso, bocca e orecchie. Presenta due braccia lunghe fino alle ginocchia che terminano in grosse mani con dita provviste di artigli. Inoltre, dalla sua schiena fuoriescono tentacoli neri. Indossa uno smoking nero con una cravatta nera o rossa e alcune volte dal viso fuoriesce una bocca grande provvista di denti molto aguzzi e lingua nera arrotolata alla fine. La lingua viene usata per strozzare le prede. Lo Slender Man tenta abitualmente di rapire dei bambini di età compresa tra i 5 e i 15 anni (ho sedici anni sono salva!), ma non è raro che prenda di mira anche adolescenti e adulti (come non detto). Si trova spesso nelle foreste o in luoghi abbandonati e bui, ma sono stati segnalati avvistamenti anche in zone abitate. Una volta che ha scelto la sua preda, può seguirla fino in città o in casa o addirittura perseguitarlo in capo al mondo, rendendosi visibile soltanto a lei e alle persone che le stanno accanto. Di solito, le sue apparizioni avvengono gradualmente: all'inizio si limita ad apparire in lontananza o a lasciare indizi sulla sua presenza, ma col passare del tempo le sue apparizioni diventano sempre più frequenti e sempre più vicine alla preda. Le vittime dello Slender Man entrano in paranoia e cominciano ad avere addirittura allucinazioni e malesseri vari, tranne i bambini che a volte assumono un comportamento amichevole nei suoi confronti, facilitandogli così la cattura. Le prede adulte, una volta che vengono prese di mira da questa creatura, non possono liberarsi della sua presenza o sfuggirle. Questo porta spesso le vittime a scegliere il suicidio (considerato l’unico modo per non farsi catturare). I corpi delle vittime vengono trovati di rado, completamente deturpati. I cadaveri dei suicidi vengono di norma ritrovati intatti. Lo Slender Man possiede diversi poteri. Uno dei più conosciuti è la capacità di teletrasportarsi (o muoversi molto velocemente) da un luogo all'altro e di mimetizzarsi nell'ambiente circostante. È inoltre in grado di causare interferenze a tutti i componenti elettronici e apparecchiature elettroniche. Può provocare anche malesseri vari e sintomi come: vertigini, nausea, disorientamento, vomito, mal di testa, svenimento, perdita di memoria temporanea e sanguinamenti vari (quindi se avete questi sintomi fate attenzione). In forme più gravi: Insonnia, paranoia, aggressività, panico, ansia, allucinazioni, autolesionismo, disturbo dissociativo dell'identità, disturbo ossessivo-compulsivo di personalità. Questi sintomi vengono associate alla sindrome dello Slender Man Sickness (in italiano: Malattia dello Slender Man) che sono gli effetti delle sue interferenze. Slender Man possiede anche la capacita di trasformare le sue vittime in Proxy (che significa: intermediario), che usa per diversi scopi; succede che a volte certi Proxy non adempiano ai suoi ordini e vengano ripudiati o eliminati. Questi Proxy ribelli vengono chiamati Mutinoxy.

Curiosità:
*Non si sa che fine facciano le vittime. Una delle tante teorie è che Slenderman le porti in un'altra dimensione.
*In antiche stampe medievali viene mostrato uno scheletro con tante braccia; alcuni pensano che sia la prima testimonianza dell'esistenza di Slenderman.
*Nel gioco Minecraft, c'è un mob basato sullo Slenderman, sia per nome che per fisico: l'enderman è uno strano uomo molto alto, secco e con il corpo interamente nero con sfumature viola con l'abilità di teletrasportarsi; normalmente sarà innocuo ma, se guardato negli occhi, aprirà la bocca ed inizierà a perseguitare il giocatore.
*La diffusione della leggenda su internet è impressionante, così come il numero di fake, che supera di gran lunga gli avvistamenti reali.
*Slenderman è la Creepypasta più famosa, dopo quella di Smile.jpg; questo a testimoniare anche gli svariati videogiochi creati su di esso, come il videogioco a cui gioca PewDiePie, Slender.