Jeffrey Lionel Dahmer: il cannibale di Milwaukee
Jeffrey Lionel Dahmer, nato a West Allis, 21 maggio 1960
morto a Portage, 28 novembre 1994, è stato un serial killer statunitense, noto
anche come Il cannibale di Milwaukee o Il mostro di Milwaukee. Responsabile di
diciassette omicidi effettuati tra il 1978 e il 1991 con metodi particolarmente
cruenti (contemplando atti di violenza sessuale, necrofilia, cannibalismo e
squartamento), fu condannato nel 1992 alla pena dell'ergastolo per poi essere
ucciso, due anni dopo, da Christopher Scarver, un detenuto sofferente di
schizofrenia.
Figlio di un chimico, visse, malgrado alcune difficoltà
dovute a problemi di salute, un'infanzia tranquilla fino all'età di sei anni,
quando la sua famiglia si trasferì a Doylestown, Ohio. A partire da quell'età,
Dahmer sviluppò un carattere chiuso e apatico, incominciando a collezionare
resti di animali morti che usava seppellire nel bosco situato dietro
l'abitazione dei genitori o per degli scherzi a scuola. A sedici anni cominciò
inoltre a coltivare fantasie sessuali in cui l'oggetto del desiderio erano
persone morte, nonché a bere regolarmente grandi quantità di alcolici. Nel
1978, subito dopo il divorzio dei genitori e il conseguimento del diploma della
scuola superiore, Dahmer mise in atto il suo primo omicidio. La vittima fu
Steve Hicks, un autostoppista di diciannove anni: in quell'occasione
l'assassino invitò il giovane nella casa dei genitori rimasta vuota, gli offrì
una birra, ebbe con lui un rapporto sessuale e lo uccise colpendolo con un
manubrio e soffocandolo. Successivamente smembrò il cadavere e ne nascose i
pezzi in sacchi per l'immondizia che furono poi sepolti nel bosco situato dietro
la casa dei genitori. Subito dopo il delitto, Dahmer si iscrisse all'Università
statale dell'Ohio, dalla quale si ritirò dopo soli sei mesi, a causa della
scarsa frequenza alle lezioni e dell'alcolismo. Non volendo cercare un lavoro,
fu obbligato dal padre ad arruolarsi in una base dell'esercito degli Stati
Uniti in Germania: dopo poco meno di due anni, durante i quali scomparvero due
persone, Dahmer fu espulso per via del suo sempre più grave alcolismo. Tornato
negli Stati Uniti, Dahmer visse inizialmente a Miami Beach (dove lavorò in una
banca del sangue presso un ospedale). In seguito si trasferì nella casa di sua
nonna a West Allis, dove venne incriminato in due occasioni per alcolismo e
atti osceni in luogo pubblico. Durante questo periodo, Dahmer continuò a
coltivare le proprie passioni sciogliendo nell'acido scoiattoli morti e
custodendo manichini rubati nell'armadio. Nel settembre 1987 Dahmer incontrò in
un bar gay Steven Tuomi: dopo aver ingerito consistenti quantità di alcolici,
l'assassino uccise la propria vittima in una stanza di albergo, ne chiuse il
cadavere in una valigia acquistata per l'occasione e lo portò nella cantina
della casa di sua nonna dove ebbe rapporti sessuali con esso. Infine il
cadavere fu smembrato e i resti gettati tra i rifiuti. Sette mesi dopo uccise
con le stesse modalità, Jamie Doxtator, un quattordicenne di origini
nativo-americane che frequentava i locali gay della città in cerca di una relazione.
Nel marzo 1988 massacrò Richard Guerrero, un ragazzo di origini messicane incontrato
anch'egli in un bar gay. Nel settembre 1988 fu allontanato da casa della nonna
a causa del suo comportamento erratico, dei continui rumori molesti, e dei
terribili odori provenienti dalla cantina. Si trasferì in un appartamento di
Milwaukee situato vicino alla fabbrica di cioccolata in cui lavorava; in quello
stesso mese adescò Somsak Sinthasomphone, un ragazzo laotiano di tredici anni,
promettendogli dei soldi per un servizio fotografico. La vittima riuscì a
sfuggire all'aggressore e a denunciarne le violenze: Dahmer fu arrestato e
accusato di violenza sessuale. In attesa del processo (che lo condannò a dieci
mesi di ospedale psichiatrico, nonostante l'accusa avesse chiesto
l'incarcerazione), Dahmer in seguito tornò a vivere a casa della nonna, dove
massacrò Anthony Sears, incontrato in un circolo gay: anche in questo caso la
vittima fu drogata, strangolata e in seguito violentata. Ottenuta dopo dieci
mesi la libertà condizionata, Dahmer visse inizialmente a casa della nonna per
poi trasferirsi definitivamente, a partire dal maggio 1990, in un appartamento
situato a nord di Milwaukee. Da allora in poi intensificherà la propria
attività omicida uccidendo, in poco più di un anno (tra il giugno 1990 e il
luglio 1991), dodici persone con gli stessi metodi utilizzati per le vittime
precedenti. In questo periodo non fu mai scoperto né dai vicini di casa (i
quali lamentavano tuttavia strani rumori e odori nauseabondi provenienti dal
suo appartamento), né dalla polizia, che pure era riuscita a entrare
nell'appartamento in seguito a un tentativo di fuga da parte della futura vittima
Konerak Sinthasomphone (fratello minore del ragazzo laotiano che Dahmer aveva tentato
di adescare anni prima). Il ragazzo era riuscito a liberarsi e a ottenere
soccorso da parte di due donne che chiamarono la polizia. Dahmer riuscì
tuttavia a convincere gli agenti che Sinthasomphone (pesantemente intossicato
da alcol e droghe) fosse il suo fidanzato, allontanatosi in seguito a una
banale lite. Quando gli agenti se ne furono andati, Dahmer uccise, violentò,
smembrò e mangiò parzialmente la vittima. Gli agenti non solo non prestarono
minimamente ascolto alle donne, ma per giunta ignorarono le varie telefonate in
cui queste riferivano che il ragazzo non era più uscito dall'appartamento. Il
22 luglio 1991 Dahmer invitò Tracy Edwards nella sua abitazione, dove gli fu
somministrata una dose di sonnifero, fu ammanettato a un braccio e costretto a
entrare nella stanza da letto. Accortosi della presenza di foto di cadaveri
smembrati appese ai muri e di un odore insopportabile proveniente da un barile,
Edwards colpì l'aggressore e fuggì dall'appartamento. Fermato da una pattuglia
della polizia, con la propria versione convinse gli agenti ad andare a controllare
l'appartamento di Dahmer, all'interno del quale furono ritrovati numerosi resti
di cadaveri conservati nel frigorifero, alcune teste e mani tagliate di netto
all'interno di pentole, teschi umani dipinti, peni conservati in formaldeide e
fotografie di cadaveri squartati.
Per poter effettuare il processo (iniziatosi il 30 gennaio
1992), furono adottate severe misure di sicurezza per proteggere l'imputato da
possibili aggressioni da parte dei familiari delle vittime. Nonostante la
difesa avesse invocato l'infermità mentale per il proprio assistito, Dahmer fu
riconosciuto colpevole dei 15 capi di imputazione e, con sentenza del 13 luglio
1992, condannato alla pena dell'ergastolo per ogni omicidio commesso totalizzando
957 anni di prigione. Il presidente della corte, il giudice Laurence Gram,
spiegò il motivo di sommare un ergastolo all'altro: la sentenza era stata
strutturata in modo tale che, anche nel caso in cui i legali avessero tentato
un ricorso in appello, Jeffrey Dahmer non sarebbe stato mai più messo in
libertà. Incarcerato nel Columbia Correctional Institute di Portage, durante i
primi mesi di detenzione Dahmer si convertì al cristianesimo. In seguito a
un'aggressione subita il 3 luglio 1994 durante il quale fu ferito alla gola
durante una funzione religiosa nella cappella del carcere, gli fu proposto il trasferimento
in isolamento; Dahmer rifiutò finendo per essere nuovamente aggredito da
Christopher Scarver, un detenuto sofferente di schizofrenia che lo colpì con
l'asta di un manubrio trafugata dalla palestra del carcere. Tale aggressione
gli risulterà fatale, e morirà durante il trasporto in ospedale a causa del
trauma cranico riportato. Il suo cervello fu in seguito prelevato e conservato
per studi scientifici.
Poco prima di morire alla presenza del padre Lionel rilascia
una lunga intervista–confessione al giornalista televisivo Stone Phillips,
nella quale cerca di spiegare le ragioni profonde del suo agire. Rifiuta ogni
tipo di colpevolizzazione dei genitori e della loro educazione, e si assume
appieno la responsabilità di quei delitti. In parte attribuisce il perché di
quelle sue azioni alle sue incontrollate pulsioni sessuali e in parte
all'essersi allontanato dalla fede (che ritroverà solo durante la sua
carcerazione), e nell'essere divenuto non credente: infatti alla domanda del
giornalista su quale fosse il motivo per cui sentisse la responsabilità degli
omicidi solo dopo essere stato catturato e sul perché di quel comportamento
Dahmer risponde: "Sono convinto che, se uno non crede nell'esistenza di
Dio che gli chiederà conto delle sue azioni, allora perché dovrebbe comportarsi
bene?".
Dopo la sua morte, sono avvenuti alcuni eventi direttamente
collegati a Jeffrey Dahmer:
*La casa di Jeffrey Dahmer, dove aveva compiuto gran parte
dei suoi omicidi, è stata demolita nel novembre 1992.
*Nel 1995 Christopher Scarver, l'ergastolano che lo uccise
in carcere, fu condannato a scontare altri due ergastoli, uno per via
dell'omicidio suo e un secondo per l'uccisione di un altro detenuto, Jesse
Anderson, quest'ultimo ucciso nelle stesse circostanze. I due ergastoli sono
stati aggiunti a quello che Scarver già scontava per l'omicidio del proprio
datore di lavoro.
*Nel 1996 la città di Milwaukee ha comprato per mezzo
milione di dollari tutta la sua macabra collezione di corpi smembrati.
L'interesse della città statunitense in cui colpì non fu spinto dal desiderio
di esporli in un museo del crimine, ma di distruggerli (sotto la spinta dal
testamento di Jeffrey Dahmer che voleva essere dimenticato), cosa che venne fatta.
*Nel 2002 viene girato un film sulla vita di Jeffrey Dahmer,
Dahmer - Il cannibale di Milwaukee: il film è stato diretto da David Jacobson
con Jeremy Renner nel ruolo del mostro di Milwaukee. In questo film il regista
ha cercato di approfondire la storia assassina di Jeffrey, ma ha cercato di
mettere in luce anche il lato umano. Il regista è stato spinto da alcune
dichiarazioni di Jeffrey che, durante il processo in cui fu condannato a 15
ergastoli, aveva affermato di non aver mai odiato, ma di voler esaudire il
proprio desiderio di possedere un cadavere e per le sue vittime cercava la
morte meno dolorosa. A conferma dell'inaffidabilità delle parole di Jeffrey (e
della conseguente credulità del regista) si può ricordare il metodo di
uccisione di una delle vittime, Errol Lindsey, a cui da vivo venne trapanata la
testa e in seguito inserito acido cloridrico nel cervello o quello di Jeremiah
Weinberger a cui invece venne inserita acqua bollente.
Le diciassette vittime degli omicidi di Dahmer erano
principalmente ragazzi, adolescenti o adulti (prevalentemente omosessuali) di etnia
afroamericana o asiatica e, come rilevato in seguito dalla polizia, con
precedenti penali di una certa entità alle spalle. Il killer li adescava nei
pressi dei luoghi di ritrovo per omosessuali fingendosi un fotografo in cerca
di modelli, col pretesto di vedere film dal contenuto hard e bere qualcosa
insieme, oppure semplicemente proponendo loro un rapporto sessuale. Le vittime
venivano in seguito narcotizzate e uccise tramite strangolamento o pugnalamento,
subivano talvolta atti di necrofilia e infine venivano squartati con una sega.
Tutta l'operazione era documentata da Dahmer tramite varie fotografie che
illustravano il processo in ogni singolo passo. Le parti asportate dai corpi
venivano conservate in freezer come cibo, oppure disciolte nell'acido, oppure
messe in formaldeide. Le teste erano invece bollite per rimuoverne la carne,
lasciando il teschio nudo, il quale veniva dipinto per farlo sembrare di
plastica. Dahmer sottopose inoltre alcune vittime a esperimenti di lobotomia,
iniettando, tramite fori trapanati nel cranio, acido muriatico o acqua bollente
nel cervello delle vittime, con l'apparente scopo di creare zombie, e provocando
la morte dei malcapitati.
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